Il termine ebraico ruah viene tradotto generalmente con spirito, vento o respiro ma può assumere anche altri significati. Mauro Biglino, un ricercatore indipendente, sostiene che il termine ruah deriva dalla lingua sumera, facendo quindi sua la tesi di un altro ricercatore indipendente, Christian O’Brien.
Biglino scrive:
Questa parola [ruàch] ha infatti origini molto più antiche della rappresentazione ebraica che abbiamo riportato; affonda le sue radici nella lingua sumera nella quale il suono RU-A veniva reso con un pittogramma molto esplicativo:
Il disegno contiene due elementi: un oggetto superiore (suono RU) che si trova al di sopra di una massa d’acqua (suono A). – Il Dio alieno della Bibbia, p. 41
Come fonte di tale affermazione viene citato in nota Christian O’Brien che a tal proposito scrive:
Inoltre, occorre prestare attenzione al fatto che l’equivalente sumero al ebraico ruªh era ru-a e i pittogrammi sumeri più arcaici per le sillabe ru e a portano questa interpretazione una fase ulteriore:
Questi pittogrammi, negli orientamenti verticali in cui sarebbero apparsi su una tavoletta di argilla, sono molto indicativi di una qualche forma di un mezzo aereo ‘librante’ sopra l’acqua. Le ali (di cui 2 Samuele 22:11) sono chiaramente visibili, ma la parte inferiore non è il corpo di un uccello – è più vicino alla forma di una barca con una chiglia. La deduzione naturale sarebbe che la ruªh era in grado di volare e di atterrare sull’acqua. – The genius of the few, ed. 1999, p. 322 (cfr. link)
Mauro Biglino in un suo successivo libro Non c’è creazione nella Bibbia ha approfondito ulteriormente l’argomento:
Data l’estrema aleatorietà che caratterizza l’interpretazione dei pittogrammi, riportiamo diverse letture e traduzioni, accreditate anche in ambito accademico.
La parte superiore del pittogramma si trova nell’Iscrizione registrata col Codice 441 (441-NAb185) e viene letta alternativamente nei seguenti modi:
RU (lettura non accettata da tutti gli studiosi)
To send forth shoots, buds or blossoms; to gore.
Mandare avanti, lanciare getti, zampilli(?); germoglio, inizio, germe; fiore; lucente; colpire.
DU
To be finished, complete, tu be suitable, fitting; to be necessary; to butt, gore, toss.
Essere terminato, completo, perfetto, adatto, idoneo, necessario; urtare, colpire; gettare, lanciare in aria.
Già abbiamo visto in precedenza come DUGUD significhi anche “peso” e “nuvola”.
UL
– Come sostantivo: joy, pleasure, satisfaction; star, flower; bud; ornament.
Gioia, piacere, soddisfazione, stella, fiore; gemma; ornamento.
– Come verbo: to glitter; shine.
Brillare, scintillare, splendere.
– Come aggettivo: remote, distant (in time), ancient, enduring.
Lontano, distante (nel tempo), antico; che dura e permane
Come si vede le chiavi di lettura sono molteplici, ma la gran parte dei significati si attaglia perfettamente a ciò che stiamo ipotizzando. – Non c’è creazione nella Bibbia, pp. 74-75
Biglino non avendo dimistichezza con la lingua accadica e sumera fa un po di confusione, entriamo nel merito:
La parte superiore del pittogramma si trova nell’Iscrizione registrata col Codice 441 (441-NAb185) e viene letta alternativamente nei seguenti modi
è cioè, come già riportato sopra, RU, DU e UL, questo però secondo Biglino, in realtà le cose stanno diversamente. Il segno cuneiforme Codice 441 è il seguente:
Fonte: Akkadian Sign List di Karel Píška
Come si può vedere il segno cuneiforme secondo il contesto letterario si può leggere UL, DU7 e RU5, ma cosa differisce questo da quello che afferma Biglino? Semplicemente dal fatto che DU7 non corrisponde al termine DU e che RU5 non corrisponde al termine RU.
Infatti il segno cuneiforme DU è il seguente:
mentre il segno cuneiforme RU è il seguente:
È chiaro che Biglino scrive di cose che non conosce ignorando due regole fondamentali del sistema cuneiforme è cioè l’omofonia e la polifonia.
L’omofonia l’abbiamo quando diversi segni cuneiformi possono avere lo stesso suono, di seguito vediamo ad esempio come può essere reso il suono du:
L’esigenza di far capire, nelle trascrizioni dal cuneiforme, quale grafema sia stato impiegato per ogni suono, ha spinto gli assiriologi ad usare un codice di riferimenti diacritici, che abbiamo – per semplicità – espresso mediante numeri in pendice. Così, se leggendo una trascrizione in caratteri latini, incontro du11 , io so con certezza che il segno così trascritto – che si trova sulla tavoletta – è “KA”.
Non si è trovata una spiegazione per tanta sovrabbondanza di valori; si è postulata l’esistenza di toni (come hanno oggi le lingue cinesi) nel sumerico, ma non è possibile provare questo assunto e comunque resterebbe troppo alto il numero di referenti grafici per certe sillabe. – Pietro Mander, L’origine del cuneiforme, ed. Aracne, p.18
La polifonia si ha quando un segno cuneiforme assume differenti significati e differenti suoni come ad esempio il già citato segno KA:
inim/enem = parola
du = parlare
zu = dente
gu = gridare
ecc.
Chiarito che RU e RU5 sono due segni cuneiformi diversi ma che si pronunciano allo stesso modo, ci si potrebbe chiedere: il pittogramma sumero potrebbe corrispondere al segno cuneiforme meglio identificato come RU5? La risposta è no.
Premesso, come ha già specificato qualcuno in altra sede (link), che la lettura RU5 del segno cuneiforme è attestata intorno al 1000 a.C. cioè 2000 anni dopo il periodo a cui risalgono i pittogrammi precedentemente riportati, la questione è che il pittogramma semplicemente non corrisponde al segno cuneiforme di cui RU5 ma ad un altro per la precisione al segno ŠAGAN:
Ma qual’è l’origine del errore?
Visto che Biglino fa riferimento a O’Brien è da capire cosa ha portato quest’ultimo a commettere il suddetto errore di attribuzione.
Dando uno sguardo alla bibliografia del libro di O’Brien risulta subito chiaro che l’errore è dovuto a materiale di consultazione troppo datato per essere affidabile, per l’identificazione dei pittogrammi O’Brien sembra abbia utilizzato l’opera di George Barton The Origin and development of Babylonian writing, risalente al 1913!
Questo non significa che ciò che è stato scritto da George Barton sia tutto sbagliato ma semplicemente che ogni riferimento ad esso va confrontato e rivalutato in funzioni ad ulteriori scoperte archeologiche, basti pensare ad Uruk i cui primi scavi iniziarono nel 1912, in seguito vennero riportati alla luce alcuni dei più antichi documenti sumerici, i risultati delle scoperte iniziarono ad essere pubblicati da Adam Falkenstein nel 1936.
In breve, George Barton nel testo citato riporta la seguente immagine:
La dicitura Del II, 130 a fianco al pittogramma fa riferimento al testo di Vincent Scheil Délégation en Perse Vol II, ed. 1900, p. 130:
Nel 1901 George Barton scrisse alcune considerazioni riguardo il testo pubblicato da Scheil in Journal of the American Oriental Society, p. 126 – Link
Nel 1936 Adam Falkenstein pubblica Archaische Texte aus Uruk (ATU 1) dove in base a nuovi elementi l’ormai noto pittogramma non viene più identificato col segno cuneiforme UL o RU5 ma con ŠAGAN:
Da allora fino ad oggi in tutte le traduzioni e successive liste dei segni il pittogramma è sempre stato traslitterato ŠAGAN, basti vedere come oggi viene traslitterata la tavoletta di Vincent Scheil sopra riportata, come ad esempio sul sito del CDLI (link) oppure nel testo The University of Chicago Oriental Institute Publications, Vol. 104 (OIP 104) p. 32 (link).
Quindi volendo pensare che O’Brien fosse in buona fede possiamo dire che il suo errore fu dovuta alla sua scarsa conoscenza delle fonti accademiche.
L’enigma della stele punica
Mauro Biglino nel suo libro Non c’è creazione nella Bibbia propone un ulteriore elemento da correlare al suddetto pittogramma:
Riportiamo qui di seguito la riproduzione precisa della stele che si trova al Museo Nazionale di Cartagine.
Come già detto, l’attribuzione è incerta: sumero-accadica per alcuni, fenice per altri. Già abbiamo rilevato come l’area geografica di appartenenza delle due culture sia comunque quella mediorientale nella quale la civiltà sumera ha fatto da culla per quelle sviluppatesi in seguito.
Il reperto (14) è stato datato al 1950 a.C. e costituisce l’immagine originale della riproduzione che abbiamo esaminato in apertura del capitolo:
Abbiamo la rappresentazione di una scena che si adatta perfettamente a quanto descritto nella Genesi: un oggetto che si libra – [merachefet] – sull’acqua.
Per correttezza e completezza d’informazione va detto che quest’immagine è stata interpretata anche come la raffigurazione di un eclisse, ma le proporzioni tra il presunto sole e la falce di luna non hanno alcun rapporto con la realtà e il simbolo solare si trova comunque ben visibile in alto a sinistra.
(14) La segnalazione del reperto originale ci è stata fatta dall’amico Stefano Sepulcri, cui va il nostro ringraziamento.» – p. 73
Qualche tempo prima che Biglino pubblicasse il suo libro Non c’è creazione nella Bibbia, nei commenti ad un suo piccolo articolo (Riflessioni sulla traduzione dei testi antichi) presente sul suo sito web, egli anticipò quanto sopra descritto. Personalmente partecipai alla discussione chiedendo quali fossero le fonti delle informazioni riportate ma non mi vennero mai fornite, dopo la pubblicazione del libro scrissi a Biglino il seguente commento:
Purtroppo il mio commento non solo non superò la moderazione di Biglino ma in seguito tutti i commenti all’articolo sono stati eliminati! – Link
Va chiarito che O’Brien non prese mai in considerazione la stele citata da Biglino, inoltre le stesse parole di O’Brien possono avere diversi significati:
Questi pittogrammi, negli orientamenti verticali in cui sarebbero apparsi su una tavoletta di argilla
Non si capisce se O’Brien abbia effettivamente visti i pittogrammi su una tavoletta o se ipoteticamente potremmo trovarli. Considerato che O’Brien è morto nel 2001 e che nel suo libro non viene detto a quale tavoletta si riferisce, ho provato a contattare per interposta persona la moglie nonché coautrice del libro di O’Brien per una delucidazione, ad oggi non mi è arrivata alcuna risposta.
Tornando alla stele cartaginese l’immagine originale è la seguente:
Provando a fare chiarezza sul reperto ho contattato Léo Dubal pronipote di Jean H. Spiro di cui collezione la stele fa parte (link), Dubal è autore di opere come L’énigme des stèles de la Carthage africaine – Tanit plurielle ed Atlas pictographique: 243 tactigrammes inédits votives stèles de Carthage.
Ho chiesto a Dubal se la stele fosse conservata al Museo Nazionale di Cartagine (link), egli mi ha risposto di no, la stele è in suo possesso ed è conservata nel suo atelier in Francia!
Ho anche chiesto a Dubal a quanto risalisse il reperto, egli mi ha detto che in base alla qualità delle incisioni esso è databile tra il 300 e il 200 a.C.
Nonostante Biglino dica che “alcuni” ritengono la stele un reperto “sumero-accadico” nessun studioso che abbia titoli in merito ha mai affermato una cosa del genere, sempre che quegli “alcuni” non siano i soliti “ricercatori indipendenti”.
Riguardo al simbolo della stele il fatto che non riproduca il pittogramma sumero ma un segno punico lo confermano moltissimi altri reperti fenici-cartaginesi, spesso è posto al di sopra del noto “segno di Tanit”, riporto di seguito un paio di esempi:
Tanit fu la principale dea venerata dai cartaginesi, era la dea della fertilità, dell’amore e del piacere, associata alla buona fortuna, alla luna e alle messi, nella religione greca Tanit veniva paragonata a varie divinità tra cui Artemide dea della caccia, della selvaggina, dei boschi, del tiro con l’arco, della verginità e anche una divinità lunare personificazione della “luna crescente”, nulla di strano quindi che il simbolo punico scambiato da Biglino per un pittogramma sumero rappresenti per gli “esperti in materia” appunto la luna crescente.
https://guardopensoedico.wordpress.com/2014/08/23/mauro-biglino-il-termine-ebraico-ruah-deriva-dalla-lingua-sumera/