Ildegarda di Bingen di Francesca Santucci e Ildegarda, la sibilla del Reno di G. Piacentini:due letture a confronto




Ildegarda di Bingen, una monaca dal cui sguardo speciale per il mondo delle donne sono rimasta affascinata, mostra notevoli doti sia intellettuali che poetiche e artistiche. Forse l’unica, al suo tempo, dedicatasi alla composizione musicale, scrive e ha una voce autorevole all’interno di un mondo decisionale tutto al maschile. Pur descrivendosi come essere femminile e perciò debole, così come la cultura del tempo, anche quella cristiana, leggeva e valutava la donna allora, valorizza del femminile tutti i principali aspetti. Ciò che le interessa maggiormente e indaga sono i momenti più intimi del femminile in cui la donna è riconosciuta nell’integrità e nella completezza di sè, sia sul piano fisico che su quello spirituale, offrendo di se stessa non un ritatto di donna medioevale ma di una emancipazione culturale raffinata, frutto soprattutto di  studi in più discipline del sapere e non solo delle visioni, che forse si potrebbero considerare come meditazioni profonde. La riproduzione e l’amore sono per Ildegarda le manifestazioni della potenza divina creatrice, di cui uomo e donna sono i portatori ma studia e si occupa anche di aspetti del femminile, fra cui il ciclo mestruale che, secondo la concezione della corrispondenza microcosmo – macrocosmo,  ritiene connesso con le fasi lunari, forse riprendendo osservazioni che già in epoche precedenti erano state fatte e poi, forse, si erano tramandate per altre vie.

“Quando nel maschio si fa sentire l’impulso sessuale (libido), qualcosa comincia come a turbinare dentro di lui come un mulino, poiché i suoi fianchi sono come la fucina in cui il midollo invia il fuoco affinché venga trasmesso ai genitali del maschio facendolo bruciare … Ma nella donna il piacere (delectatio) é¨ paragonabile al sole, che con dolcezza, lievemente e con continuità imbeve la terra del suo calore, affinché produca i frutti, perché se la bruciasse in continuazione nuocerebbe ai frutti più che favorirne la nascita. Così nella donna il piacere con dolcezza, lievemente ma con continuità produce calore, affinché essa possa concepire e partorire, perché se bruciasse sempre per il piacere non sarebbe adatta a concepire e generare. Perciò, quando il piacere si manifesta nella donna, è¨ più  sottile che nell’uomo, perché il suo fuoco non arde in essa con la stessa forza che nell’uomo. “Liber causae et curae, pp. 69-70, 76
E della maternità e del parto, nello stesso testo:
“Quando è vicino il parto, il vaso in cui è chiuso il bambino si apre e la forza dell’eternità, che trasse Eva dalla costola di Adamo, è lì, giungendo all’improvviso, e rivolta tutti gli angoli di quella casa che è il corpo femminile. La prima madre di tutta l’umanità fu fatta a somiglianza dell’etere, perché come l’etere contiene in sé tutte le stelle, così essa, integra e intatta, conteneva in sé tutto il genere umano, che avrebbe generato senza dolore, poiché le fu detto: Crescete e moltiplicatevi.”– Liber “Causae et curae”, pp. 69-70, 76
“La donna ha un tempo in cui si rivela l’umore che è in essa e che si diffonde in essa col calore nell’umido vitale della viriditas . Infatti, se non avesse col calore l’umido vitale che la fa vegetare, rimarrebbe sterile come l’arida terra che non permette la coltivazione di nessun frutto”. – Da: “Liber Scivias” l. II, vis. III, pp. 147-8
“E vidi come nel centro dell’aria australe un’immagine nel mistero di Dio bella e mirabile, di forma simile a quella umana, il cui volto era così bello e splendente, che è più facile fissare il sole che non quel volto. Così parlò l’immagine, che comprendiamo essere l’amore, che rivela il suo nome come vita di fuoco della sostanza divina e narra i molteplici effetti della sua potenza sulle nature e le qualità delle creature: Io sono la suprema forza di fuoco che ho acceso tutte le scintille viventi, in nessuna cosa mortale ho posto il mio soffio, le distinguo nel loro essere, ed ho ordinato rettamente con le mie penne più alte – cioè con la sapienza che vola – il circolo che le circonda. Io, vita di fuoco, fiammeggio sulla bellezza dei campi, risplendo nelle acque e ardo nel sole, nella luna e nelle stelle, e con l’aereo vento suscito tutte le cose, vivificandole con la vita invisibile, che tutte le sostiene. Perché l’aria vive nella vegetazione e nei fiori, le acque scorrono come se vivessero, e il sole vive nella sua luce, e la luna, quando è quasi scomparsa, è riaccesa dalla luce del sole come per vivere di nuovo, e le stelle risplendono nel suo splendore come esseri viventi. Io ho posto le colonne che contengono tutto il globo terrestre e quei venti che hanno penne a loro sottomesse, cioè i venti più lievi, che con la loro levità fanno da sostegno ai più forti, affinché non si mostrino pericolosamente, come il corpo è a contatto dell’anima e la contiene, affinché non evapori. E come il soffio dell’anima tiene insieme con fermezza il corpo, affinché non muoia, così i venti più forti animano quelli a loro sottomessi, affinché essi possano svolgere debitamente il loro compito. Ed io, forza di fuoco, sono nascosta in essi, essi da me avvampano, come il respiro continuo dell’uomo, o come nel fuoco la fiamma che guizza. Tutte queste cose sono vive nella loro essenza, non possono morire, perché io sono la vita. E sono anche la razionalità, col vento della parola che risuona, da cui ogni creatura è stata fatta, ed in tutte ho immesso il mio soffio, affinché nessuna nel proprio genere sia mortale, perché io sono la vita. Sono la vita nella sua integrità, non quella che manca alle pietre, non quella che fa nascere le fronde dai rami, non quella che ha radice nella forza virile, ma io sono la radice di ogni vivente. La razionalità infatti è la radice, la parola che risuona fiorisce in essa. E poiché Dio è razionale, come potrebbe non operare? le sue opere giungono a perfetta fioritura nell’essere umano, che fece a sua immagine e somiglianza, ponendo in esso il segno di tutte le creature secondo la sua misura. Nell’eternità, da sempre, Dio volle fare l’essere umano, la sua opera, e quando ebbe fatto quest’opera le dette tutte le creature perché facesse le sue opere con esse, allo stesso modo in cui Dio aveva fatto la propria opera, l’essere umano. Ma sono io il suo ministro, perché tutte le cose vitali ricevono da me il loro ardore; sono la vita che permane uguale nell’eternità, che non ha avuto inizio e non avrà fine, e Dio è la vita stessa che si muove ed opera, una sola vita in un triplice vigore. L’eternità è il Padre, il Verbo è il Figlio, e il soffio che li connette è chiamato Spirito santo, e di ciò Dio ha posto il segno nell’uomo, in cui vi sono corpo, anima e razionalità. “Liber divinorum operum, pars I, visio I, PL 741C-744A
f.f.- aprile 2012
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.O uomo, guarda l’uomo: egli contiene in sé il cielo e le altre creature;
 è una forma e in lui tutte le cose sono implicite.
  Ildegarda di Bingen

In un piccolo monastero benedettino posto sulle rive del Reno, in Germania, nel Medioevo visse una monaca, di salute malferma, che, coniugando fede e scienza,  si dedicò allo studio dell’uomo e del cosmo.
Convinta che fra i due ci fosse uno stretto legame, che, come insegnava la sapienza medica dell’antichità, ci fosse corrispondenza fra le parti del corpo umano e l’universo, che l’uomo fosse un universo in miniatura, che l’universo fosse simile ad un gigantesco uomo, che il sole, la luna e il firmamento ne costituissero la testa e gli occhi, la gabbia toracica il luogo d’origine dei venti, l’addome quello dei mari, la terra i piedi, elaborò un sistema di cura basata sui principi essenziali della medicina del tempo, ma anticipatori dell’odierna medicina olistica, considerando la salute dell’essere umano nella sua globalità psico- fisica: Ildegarda di Bingen.
Paupercula foeminae forma, poverissimo essere femminile, così si percepiva, da adolescente era stata malinconica e timida, le (sue) vene e il (suo) midollo non avevano forza, più avanti nel tempo fu colpita da fortissimi dolori, la vista le si annebbiava, ma dimostrò di possedere grandissima forza fisica e visse più di ottant’anni.
Profetessa, filosofa, scienziata, poetessa, musicista (probabilmente la prima donna musicista della storia cristiana), chiamata santa, ma mai canonizzata, nei documenti dell’epoca indicata come abbatissa, generalmente indicata come magistra, domina o praeposita (ma lei si definiva “l’ombra della luce vivente”), Ildegarda nacque nel 1098 a Bermesheim, in una nobile e numerosa famiglia renana, e morì al Rupertsberg nel 1179, esattamente il 17 settembre, così come le era stato predetto.
A sette anni fu mandata da una zia che viveva in clausura nel convento benedettino di Disibodenberg, e qui  fu educata. Pur non abbracciando la clausura, a quattordici anni prese il velo monacale (ma anche un’altra sorella prese il velo, ed aveva pure un fratello canonico), e nel 1116 fu nominata badessa. Staccatasi, poi,  dal monastero di Disibodenberg, fondò quello di Rupertsberg, presso Bingen.
Quando aveva quarantatré anni ricevette l’ordine divino di divulgare il contenuto delle visioni soprannaturali, che le appariva fin da quando aveva cinque anni, e di cui solo  pochi intimi erano a conoscenza e, ricevuta l’approvazione del papa Eugenio III, che, nel 1148, ordinò ad una commissione d’interrogarla,  e di Bernardo da Chiaravalle, le più eminenti figure  della Chiesa del  tempo, così fece.
[…]Ecco nel quarantesimo anno della mia esistenza, mentre ero avvinta dalla visione celeste, spaventata e tremante, vidi una gran luce dalla quale usciva una voce che mi diceva_ O fragile essere umano, cenere di cenere, putredine di putredine, parla e scrivi, secondo quanto ascolti e vedi[…]Le parole che dico non provengono da me, ma io le vedo in una suprema visione…Fin dalla mia infanzia, quando ero debole di ossa e di nervi e soffrivo nel sangue, sempre fin da allora, ho ricevuto le visioni… (Ildegarda di Bingen, “Vita”).
Tali visioni non erano fantasie o visioni oniriche, ma  si manifestavano quando era perfettamente in sé, e per trascriverne i contenuti, incapace di scrivere in lingua tedesca, e poco padrona del latino, si serviva di collaboratori, uomini e donne (il più importante, Volmar, amico e segretario, il mio diletto figlio, la seguì per moltissimi anni, con fedeltà e precisione, aiutandola nella stesura ed anche nella correzione dei testi). Fu così che, ispirata dalla voce divina, tormentata  da violente crisi di malessere contemporaneamente fisico e psichico, che accompagnavano sia le visioni che la stesura dei libri,  fra il 1141 ed il 1170 compose opere mistiche poderose, come “Scivias” (conosci le vie) “Liber vitae meritorum”, “Liber divinorum operum”.
Famosa è la miniatura del XII secolo che la ritrae, presente il fedele Volmar, proprio mentre scrive sotto l’effetto delle rivelazioni, con il volto toccato da un fuoco proveniente dall’alto.





Oltre alle opere di carattere mistico, molto apprezzate pure da San Bernardo, che la definì la diletta figlia in Cristo, scrisse  anche prediche, che spesso, evento raro di quei tempi per una donna, teneva non in chiesa ma davanti al popolo, e lettere (circa trecento) talvolta di  tono  imperioso, ai più importanti sovrani (Corrado III, Federico Barbarossa, Enrico II d’Inghilterra) e ai pontefici che si succedettero nel corso del XII secolo (Eugenio III, Anastasio IV, Adriano IV), quando non decideva addirittura di affrontarli personalmente lasciando momentaneamente il convento.
In altre opere IIdegarda, in contrasto con le sue affermazioni di essere ignorante,  dimostrò di avere buona conoscenza non solo della Bibbia, ma anche degli autori latini, della filosofia neoplatonica e delle scienze naturali,  come in “Causae et curae” una specie di manuale di medicina pratica e farmacologia,  su tematiche mediche, filosofiche e astrologiche, come in “Physica”, sulle proprietà delle piante, delle pietre e degli animali.
E compose anche canzoni e melodie in onore di Dio e dei Santi, inni, sequenze e antifone in versi (la sua opera musicale più conosciuta è “Symphonia harmoniae celestium revelationum”, “La sinfonia dell’armonia delle celesti rivelazioni”), esprimendo precise e avanzate idee sulla musica, pur non avendo ricevuto alcun insegnamento musicale, perché riteneva che attraverso il canto si esprimesse la gioia sonora e fisica verso il creato e l’amore verso Dio, e pure elaborò una sorta di dizionario relativo a 900 vocaboli di un linguaggio artificiale da lei stessa inventato, con molti nomi di erbe e piante, legati alla sua ricerca medica.
Ildegarda, in consapevolezza della missione che era chiamata a svolgere nel mondo, superò anche  l’innata timidezza, affrontando autorevolmente, spesso con successo, molte  difficoltà esterne, come quando sfidò la comunità maschile del monastero gemello di Disibodenberg, che nel 1150 voleva impedirle di fondare un nuovo convento femminile a Rupertsberg, vicino  Bingen, e pure seppe fronteggiare i potenti, come Federico Barbarossa (incontrato di persona quando lui la invitò nel suo palazzo in Inghilterra), scrivendogli parole dure allorché, nel 1164, nominò per la seconda volta un antipapa, Pasquale III, contro il pontefice Alessandro:
[…]Dinanzi agli occhi nella visione mistica ho chiaro che ti comporti come un bambino, anzi come un pazzo: …Sta’ attento a comportarti in modo che la grazia di Dio non si allontani da te.
E ancora, di nuovo parole di fuoco contro il potente quando, quattro anni dopo, morto Pasquale III, per la terza volta il Barbarossa  elesse un antipapa:
[…]Io posso abbattere la malizia degli uomini che mi offendono. O re, se ti preme vivere, ascoltami o la mia spada ti trafiggerà.
Un anno prima della sua morte, Ildegarda diede ulteriore prova della sua forza, opponendosi ai prelati di Magonza che le avevano ordinato di disseppellire e gettare il cadavere di un nobile scomunicato, sepolto nel suo monastero, pena la scomunica del monastero; con il suo bastone tracciò una croce nell’aria sulla tomba, poi fece in modo che sul terreno non restasse alcun segno che potesse farla identificare e ordinò di far tacere canti e melodie nel suo monastero.
Vidi nell’anima mia che se avessi obbedito e buttato il cadavere fuori dal cimitero, tale azione avrebbe minacciato la nostra dimora come una grande nube nera, ci avrebbe avvolto come un nembo tonante che preannuncia la tempesta…
Fu, poi, provato, che prima di morire, al nobile era stata tolta la scomunica, e la questione si risolse, ma intanto Ildegarda aveva offerto una nuova testimonianza della sua forza interiore.
Grande fama ebbe nel Medioevo, soprattutto per le visioni che le provenivano da Dio e che le indicavano come strutturare un nuovo sistema di cura.
Infatti la sua medicina ebbe due anime: quella mistica (le visioni rivelatrici divine, il veder dentro nella luce divina), e l’altra scientifica, quella che la portava ad osservare direttamente la natura, raccogliendo le erbe più rare, osservando i decorsi delle malattie delle sorelle e degli infermi dei dintorni di Bingen,  elaborando rimedi, cure, (anche ricette, convinta che l’alimentazione fosse importante per l’equilibrio dell’individuo, elaborò un vero e proprio libro di ricette; molto conosciute sono quelle al farro, che purifica la mente, fa buon sangue e rende lieta e serena la mente), spesso  validi ancora oggi.
Conoscendo bene la sofferenza, a causa della sua salute malferma, Ildegarda, in straordinaria modernità d’intuizione, era convinta che, proprio per la stretta relazione fra l’uomo e l’universo, inscindibilmente legati, il malessere dell’uno si ripercuotesse sull’altro, perciò, per raggiungere o riacquisire il benessere psico-fisico, l’essere umano doveva ri/attingere le energie necessarie dal mondo circostante, essendo parte del tutto, giacché i suoi disturbi dipendevano proprio dalla perdita dell’armonia con l’ambiente esterno


                                                        

L’uomo-microcosmo secondo Ildegarda,
miniatura del Liber divinorum opere:
qui l’uomo è lontano da Dio, quindi in squilibrio.



L’uomo-microcosmo qui è in armonia con Dio e con il creato
 (il cerchio di fuoco che circonda e contiene la figura è l’amore di Dio).
Ildegarda attinse al mondo vegetale, descrivendo anche la forma delle piante, le caratteristiche del rimedio, gli effetti prodotti, la diversa efficacia e i diversi utilizzi, personalizzando la cura a secondo che  se a riceverlo era un uomo o una donna.
Molti dei suoi rimedi basati, secondo l’uso del tempo, sulla dottrina dei temperamenti, 1 sul caldo e sul freddo, sull’umido e il secco e sul loro bilanciamento, in eccesso o in difetto per riequilibrare gli umori causa del disturbo, ancora oggi vengono usati nella fitoterapia contemporanea;  ad esempio,  per la cefalea e il mal di stomaco Ildegarda suggeriva  la mentuccia, ebbene nella fìtoterapia moderna si adopera la sua parente stretta, la menta; contro la nausea suggeriva il cumino, ancora oggi usato; per la tosse e il raffreddore trovava efficace il  tanaceto e,  in caso di epistassi, l’ aneto e l’achillea millefoglie, erbe similmente adoperate ai giorni nostri.
Ildegarda fu anticipatrice anche della cristalloterapia; convinta che pure nelle pietre risiedesse la viriditas, “l’energia verdeggiante”, il soffio vitale presente in tutto il creato, attribuiva loro poteri curativi, e in alcune sue opere, come il “Libro della semplice medicina” o “Phisica”, che include un erbario, un bestiario e un lapidario,  e il “De Lapidibus”, suggerì diversi modi per catturarne i benefici effetti, indossandole o variamente preparandole.
Ad esempio, ai mentitori e alle persone inclini alla collera per guarire suggeriva di  tenere in bocca un diamante; il topazio, invece, messo in una bevanda, neutralizzava qualsiasi veleno; la perla, sciolta in poche gocce d’aceto, ingerito, era efficace contro il mal di testa; l’ametista, strofinata sulle zone interessate, eliminava le macchie dal viso.
Per il dolore al cuore bisognava mettere una pietra di diaspro freddo sul petto fino a quando il calore del corpo non l’avesse riscaldato, poi  toglierla e lasciarla raffreddare ancora, ripetendo il trattamento sino a quando non si fosse avuto il miglioramento; per  i sogni agitati e gli incubi, invece, suggeriva di  tenere la pietra di diaspro accanto a sé mentre si dormiva: i suoi influssi avrebbero donato serenità al sonno.
E per gli occhi dolenti, Ildegarda consigliava di mettere un topazio a bagno nel vino per tre giorni e tre notti e poi, prima d’ andare a dormire, di appoggiare la pietra bagnata di vino sugli occhi.
Ai giorni nostri, soprattutto in Germania, per i suoi molteplici aspetti Ildegarda è molto conosciuta, e per le sue conoscenze delle erbe e dei cristalli e per i suoi  componimenti musicali  grandemente apprezzata dalle  medicine alternative e dalla new-age, ma anche  il nostro Giovanni Paolo II ne restò conquistato e, in occasione  dell’ ‘800° anniversario della sua morte, le dedicò una lettera in cui la esaltò, quale “luce del suo popolo e del suo tempo”, “fiore della Germania”, “donna esemplare” e “donna forte”.
 Francesca Santucci
 Testi musicati di Ildegarda di Bingen
O rubor sanguinis 
 O rubor sanguinis,
qui de excelso illo fluxisti,
quod divinitas tetigit,

tu flos es,
quem hiems de flatu serpentis
num quam lesit.
Ave generosa
Ave, generosa,
gloriosa et intacta puella.
Tu pupilla castitatis,
tu materia sanctitatis,
que Deo placuit.
Nam hec superna infusio in te fuit,
quod supernum Verbum in te carnem induit.
Tu candidum lilium,
quod Deus ante omnem creaturam inspexit.
O pulsherrima et dulcissima,
quam valde Deus in te delectabatur,
cum amplexionem caloris sui in te posuit,
ita quod Filius eius de te lactatus est.
Venter enim tuus gaudium havuit,
cum omnis celestis symphonia de te sonuit,
quia, Virgo, Filium Dei portasti,
ubi castitas tua in Deo claruit.
Viscera tua gaudium habuerunt,
sicut gramen, super quod ros cadit,
cum ei viriditatem infudit,
ut et in te factum est,
o Mater omnis gaudii.
Nunc omnis Ecclesia in gaudio rutilet
ac in symphonia sonet
propter dulcissima Virginem
et laudabilem Mariam, dei Genitricem.
Amen
Nota
1) Secondo le teorie mediche di Ippocrate e Galeno, ad ogni “umore”  è associato un preciso elemento cosmico, una stagione, un carattere psicologico, al sangue corrisponde la primavera, l’aria, il caldo-umido e il temperamento sanguigno; alla bile gialla il fuoco, il caldo-secco, l’estate e il temperamento bilioso; alla bile nera l’autunno, la terra, il freddo-secco e il temperamento malinconico; al flegma l’inverno, l’acqua, il freddo umido e il temperamento flemmatico.






BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Sabina Flanagan,Ildegarda di Bingen. Vita di una profetessa, Le Lettere, Firenze, 1991.
Canti estatici di Hildegard von Bingen: come una piuma sul respiro di Dio – Como : Red, 1996.
E. Gronau, Hildegard, vita di una donna profetica alle origini dell’età moderna, ed. Ancora 1996.
Loris Solmi, La medicina di Santa Ildegarda, Milano, Riza, 1999.
Santa Ildegarda; ginecologia : medicina olistica per la donna, Claus Schuite-
Uebbing. – Rivarolo Canavese : Centro di benessere psicofìsico, 1996.
F. Bestini, F. Cardini, C. Leopardi, M.T. Fumagalli Beonio Brocchieri-Medioevo al femminile, Laterza, Roma- Bari, 1989.
Simboli e allegorie, Electa, vol. I e II, Pomezia (Roma) settembre 2004.
SITO DI RIFERIMENTO:
http://www.letteraturaalfemminile.it/ildegardadibingen.htm
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Ildegarda, la sibilla del Reno- G. Piacentini
Tra il 1146 e il 1147, il cistercense Bernardo, autorevole abate di Clairvaux, si ritrovò fra le mani una lettera (Ep. I, in CCCM 91) indirizzata a lui, nella quale una monaca tedesca gli scriveva che, essendo molto turbata a causa di misteriose visioni avute fin dall’infanzia, desiderava avere un consiglio al riguardo. La risposta di Bernardo (Ep. I R, in CCCM 91) non si fece attendere: egli invitò quella monaca a riconoscere quanto grande e gratuito fosse il dono che Dio le aveva concesso, aggiungendo che, di fronte a un dono così grande, la sapienza umana non può che arrestarsi: per questo, egli chiese alla sua interlocutrice di pregare per lui e per i suoi confratelli. Chi era, questa monaca? Non una religiosa qualunque, bensì la badessa, eletta all’unanimità dieci anni prima, dell’ala femminile del monastero benedettino del Disibodenberg, nell’Assia Renana, e destinata a divenire famosa con l’appellativo di prophetissa teutonica o “sibilla renana”: Ildegarda di Bingen. Quella di Ildegarda è una figura significativa: già i suoi contemporanei videro in lei innanzitutto una profetessa, cioè una persona espressamente eletta da Dio per fungere, grazie al dono delle visioni, da intermediaria fra Dio stesso e l’uomo, aiutando quest’ultimo a ristabilire l’originaria relazione di armonia col Creatore. Ildegarda (1098-1179), di famiglia nobile, a circa otto anni venne affidata dai genitori alla giovane reclusa Jutta di Spanheim, la cui cella si trovava vicino al Disibodenberg, per essere educata, senza avere l’obbligo di prendere i voti. Comunque, uno dei motivi per cui i genitori di Ildegarda decisero di affidare all’educazione di una reclusa dipendente da un monastero la loro bambina fu, probabilmente, non solo la consapevolezza di non essere in grado di disporre per lei di una dote sufficiente a garantirle un matrimonio adeguato alle sue origini, ma anche l’aver notato la sua intelligenza e soprattutto la sua capacità di predire il futuro. Educata ed istruita da Jutta, Ildegarda prese i voti perpetui verso il 1113, forse davanti al vescovo Ottone di Bamberga. Fino al 1136 si confidò solo con Jutta riguardo ai propri doni soprannaturali, temendo di non essere creduta. All’inizio, le fu abbastanza facile tenere nascosta la propria condizione, poiché, come sappiamo da una lettera di Ildegarda stessa, indirizzata al monaco Gilberto di Gembloux nel 1175 (Ep. CIII R, in CCCM 91A), ella non entrava in estasi durante le visioni, bensì rimaneva perfettamente cosciente, riuscendo a comportarsi in modo normale, anche se non poteva nascondere il forte dolore fisico e i tremori che l’assalivano. Durante le visioni, ricche di elementi dal significato  simbolico, Ildegarda vedeva l’umbra lucis viventis («l’ombra della luce vivente», cioè il riflesso della luce di Dio) e ascoltava parole provenienti da Dio, che le spiegavano il significato di quanto vedeva. Talvolta, per breve tempo, ella contemplava addirittura la lux vivens, la «luce vivente», cioè Dio stesso: in questa circostanza la sua anima si rinvigoriva e ogni sua sofferenza fisica cessava. Ispirandosi al neoplatonismo cristiano dello Pseudo-Dionigi l’Areopagita, Ildegarda afferma che la luce di Dio si manifesta, nel mondo creato, passando attraverso gradazioni d’ombra: perciò, ogni genere e specie creata occupa un posto peculiare, lungo una «via della luce» che il profeta deve ripercorrere a ritroso, per risalire, di perfezione in perfezione, dal mondo visibile alla luce di Dio stesso. Non a caso, la prima opera di Ildegarda si intitola Scivias, termine interpretato come abbreviazione dell’espressione latina «Sci vias luminis» («Conosci le vie della luce») o «Sci vias Domini» («Conosci le vie del Signore»). Lo Scivias (1141-1151) riguarda la storia della salvezza. Ildegarda, ritenendo di non possedere l’istruzione necessaria per scrivere opere teologiche o filosofiche, mise per iscritto queste visioni solo quando, ammalatasi, interpretò questa circostanza come un segno del dispiacere divino di fronte alle sue esitazioni e venne incoraggiata sia dall’abate Kuno di Disibodenberg, sia dal monaco Volmar, suo amico e segretario. Kuno informò Enrico, arcivescovo di Mainz, che ne parlò a papa Eugenio III, impegnato nel sinodo di Treviri (1147-48). Eugenio III, amico di Bernardo di Clairvaux, inviò al Disibodenberg una commissione, che si convinse del carisma profetico di Ildegarda. Eugenio III lesse allora ai padri sinodali alcuni passi dello Scivias e invitò Ildegarda a terminarne la stesura. È di questo periodo la lettera di Ildegarda a Bernardo di cui abbiamo detto, nella quale la monaca tedesca manifesta i suoi timori relativi al fatto che le sue visioni, se diffuse, avrebbero potuto essere mal interpretate, data la presenza, in Germania, di sette ereticali come quelle dei catari e dei valdesi: i catari consideravano il mondo materiale solo come fonte di tentazione e negavano, così, sia l’Incarnazione del Verbo, sia la risurrezione dei corpi; i valdesi, partiti con l’intenzione di invitare i fedeli a vivere più profondamente il Vangelo attraverso la comunione dei beni, avevano poi condannato ogni forma di proprietà privata all’interno della Chiesa, anche quella indispensabile alla vita quotidiana. Fra il 1160 e il 1170, Ildegarda predicò più volte in pubblico (fatto eccezionale per una donna, nel medioevo) contro catari e valdesi: è questo il periodo dei viaggi missionari, che vide la profetessa visitare località importanti, come Mainz, Treviri e la valle della Ruhr. Nel 1150, Ildegarda si trasferì al monastero del Rupertsberg, da lei fondato presso Bingen, vincendo le resistenze di Kuno  di Disibodenberg: questi si era opposto, forse perché temeva un calo di donazioni al Disibodenberg dopo la partenza di Ildegarda. Al Rupertsberg, Ildegarda terminò lo Scivias e scrisse la Physica (sulle scienze naturali), il Causae et curae (un trattato di medicina) e forse gli enigmatici Lingua ignota e Litterae ignotae che per molti studiosi costituirebbero una sorta di linguaggio cifrato, col relativo glossario. A questo periodo risalgono anche gli inni musicali (Carmina) e l’opera teatrale Ordo virtutum. Al Rupertsberg, Ildegarda fu impegnata a livello politico ed ecclesiastico: nel 1151, schierandosi contro il trasferimento dell’amica Richardis, nominata, per fini politici, badessa del monastero di Bassum nella diocesi di Brema, Ildegarda profetizzò la deposizione, poi avvenuta, dell’arcivescovo Enrico di Mainz (guadagnandosi così l’appellativo di prophetissa teutonica). A partire dal 1152 e per alcuni anni, ella instaurò rapporti abbastanza buoni con Federico I Barbarossa, scrivendogli anche personalmente. Ildegarda si affrettò a prendere le distanze da lui dopo lo scisma del 1159, che vide contrapposti papa Alessandro III e vari antipapi eletti dai sostenitori del Barbarossa, il quale mostrò ben presto di non essere interessato a una riforma della Chiesa, ma solo ad accrescere il proprio potere, sia fomentando lo scisma, sia combattendo contro i Comuni dell’Italia centro settentrionale che reclamavano una maggiore autonomia dall’Impero. Intanto, Ildegarda continuava a scrivere: la seconda raccolta di visioni, il Liber vitae meritorum («Libro dei meriti di vita»), sull’etica, è degli anni 1158-1163. Dal 1163 al 1174 circa, Ildegarda si dedicò al Liber divinorum operum («Libro delle opere divine»), che tratta specialmente di cosmologia e antropologia senza per questo tralasciare i temi dello Scivias e del Liber vitae meritorum: non a caso, esso chiude la cosiddetta “trilogia” di visioni ed è considerato il capolavoro di Ildegarda. Nello Scivias e nel Liber divinorum operum troviamo anche diverse considerazioni sulla situazione politica ed ecclesiale del XII secolo, espresse nello stile tipico della letteratura apocalittica medievale. In queste opere, Ildegarda parla del suo tempo come di un’epoca di mulieris debilitas (di «effeminata debolezza») o come di un tempus muliebre (un «tempo effeminato»): Ildegarda vede cioè la sua epoca come estremamente debole, caratterizzata dall’avvento di un tyrannus (un «tiranno», forse Enrico IV di Germania, che regnò come imperatore dal 1084 al 1106 e fu un fiero oppositore della riforma ecclesiastica di papa Gregorio VII) e da una profonda corruzione politica ed ecclesiale.
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.Contro la Chiesa corrotta, come si legge nel Liber divinorum operum, si leveranno i prìncipi secolari (è a tale proposito che Ildegarda pensò anche al Barbarossa) e il popolo cristiano. A convincere prìncipi e popolo a sollevarsi con violenza contro la Chiesa corrotta saranno gli eretici: questi però, desiderosi di distruggere completamente la Chiesa (non di riformarla), verranno ben presto fermati dai prìncipi stessi. Dopo la sconfitta degli eretici, avrà inizio la septima aetas (la «settima età» della storia del mondo), complessivamente caratterizzata, nonostante alcune tribolazioni, da giustizia, pace, devozione e rinnovato spirito di profezia. La profezia (come si legge nello Scivias) permetterà agli uomini di penetrare in profondità il significato della Sacra Scrittura, offuscato dalle divergenti interpretazioni proposte dai teologi delle scuole superiori. La septima aetas durerà a lungo, precedendo la fine del mondo. Nel 1165 Ildegarda fondò il monastero di Eibingen (tuttora sede dell’abbazia di Santa Ildegarda) e da allora si dedicò alla stesura di opere minori. Secondo la Vita S. Hildegardis di Goffredo di Disibodenberg e Teodorico di Echternach, che comprende anche alcuni passi autobiografici di Ildegarda, nel 1170 ella compì anche un esorcismo sulla giovane Sigewize di Colonia. Le lettere di Ildegarda e gli Acta Inquisitionis ci permettono di ricostruire l’ultima battaglia della monaca tedesca, condotta nel 1179 contro il clero di Mainz, convinto che un nobile, sepolto al Rupertsberg, fosse uno scomunicato. Ildegarda, certa invece del contrario, arrivò a confondere il perimetro della tomba. Allora gli ecclesiastici di Mainz proibirono di far celebrare la S. Messa al Rupertsberg. La questione venne risolta solo quando Ildegarda scrisse all’arcivescovo Christian di Mainz, il quale sostenne comunque la buona fede del clero cittadino. Ildegarda morì il 17 settembre 1179, a Rupertsberg. Nella Vita, Teodorico riferisce che alla morte della badessa, al di sopra della stanza in cui ella si trovava, apparve una croce luminosa, e si dice convinto che questo sia stato un segno della predilezione divina per lei. Secondo gli Acta Inquisitionis, a partire dal XIII secolo le consorelle di Ildegarda ne chiesero la canonizzazione. Il processo non si è mai concluso ufficialmente. Comunque, Giovanni XXII, nel 1324, diede il permesso esplicito di rendere culto a Ildegarda. Nel XVI secolo, il nome di Ildegarda fu inserito nel Martirologio Romano. Oggi Ildegarda è venerata soprattutto nell’ambiente monastico e le sue reliquie sono conservate ad Eibingen. In occasione dell’800° anniversario della morte, la badessa tedesca è stata ricordata da Giovanni Paolo II con una lettera, datata 8 settembre 1979 e indirizzata a Hermann Volk, arcivescovo di Mainz. Recentemente, Benedetto XVI ha accennato a Ildegarda in un’intervista rilasciata ad alcune emittenti televisive tedesche e alla Radio Vaticana il 5 agosto 2006, poco prima del viaggio apostolico in Germania a settembre dello stesso anno.
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INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE
Le opere e le lettere di Ildegarda sono reperibili nella Patrologia Latina di J.P. Migne (Garnier, Paris 1879-1890) e/o in altre edizioni, come quella critica del Corpus Christianorum.
Continuatio Mediaevalis (Brepols, Turnhout 1971 ss.; abbreviato in CCCM, a cui segue un numero arabo che indica il volume). La letteratura critica è principalmente in inglese, francese e tedesco.
Contributi e traduzioni in italiano sono pochi. Ci limitiamo a segnalare le più recenti traduzioni italiane delle visioni, l’edizione critica dell’epistolario, quella della Vita di Goffredo e Teodorico, l’edizione degli Acta e qualche titolo di letteratura in italiano.
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RIFERIMENTO IN RETE:
http://www.filosofiaereligione-giuliopiacentini.it/files/G.-Piacentini,-Ildegarda,-la-sibilla-del-Reno.pdf

https://cartesensibili.wordpress.com/2012/05/04/ildegarda-la-sibilla-del-reno-g-piacentini/