The Etana procreation’s plant
Il poema noto come La Leggenda di Etana o Epopea di Etana è un racconto mitologico mesopotamico che rientra in quell’insieme di narrazioni dove ricoprono un ruolo importante fonti alimentari (piante, acque o cibi) dalle proprietà miracolose, magiche o salvifiche. Il più noto di questo genere di racconti è forse l’Epopea di Gilgamesh (si veda La pianta di Gilgamesh), e vi appartengono anche Il racconto di Adapa e il Ciclo di Lugalbanda.
Sono state riconosciute tre versioni dell’epopea di Etana, distinte cronologicamente: una Versione Antica Babilonese, proveniente dagli scavi di Larsa e Susa, una Versione Media Assira, venuta alla luce negli scavi di Assur, e una Versione Tarda o Neo-Assira, ritrovata a Ninive. Quest’ultima, che è la più completa, o meglio la meno incompleta, viene chiamata anche Versione Babilonese Standard.
Ma l’epopea di Etana è certamente più antica, d’origine sumera, dato che il nome di Etana è presente nella Lista dei Re Sumeri, che le vicende dell’epopea sono ambientate nella città sumera di Kiš, di cui Etana fu un sovrano (considerato in alcuni testi storico-mitologici come il primo sovrano dopo il Diluvio), e che l’elemento iconografico di Etana che ascende al cielo sul dorso di un’aquila è riportato già in un sigillo cilindrico accadico ascrivibile alla seconda metà del III millennio a.C.
La maggior parte delle tavolette in cui è riportato il tema di Etana sono rotte o logore, tale per cui il testo cuneiforme è molto frammentario e lacunoso, e ciò ha dato adito a continue dispute fra gli studiosi nella ricostruzione del racconto; una ricostruzione lenta e faticosa che dura da più di un secolo, e che viene continuamente modificata in base ai ritrovamenti di nuovi frammenti di testo. Il principale contenzioso accademico si basa sull’appartenenza o meno al ciclo di Etana di diversi testi frammentari, e ciò ha promosso l’elaborazione di versioni “ristrette”, di cui la più minimalista è quella proposta da Claudio Saporetti (1990), e versioni più ampie, di cui la più estesa è quella proposta da Kinnier Wilson (1985, 2007). Una ricostruzione intermedia è stata proposta da Novotny (2001). In questa sede seguo principalmente la ricostruzione data da Wilson, poiché mi appare quella con maggior corrispondenza e “coerenza mitologica”.
Una delle tavolette in cui è incisa in caratteri cuneiformi la storia di Etana (da Wilson, 1985, Tav. Ia)
Il racconto inizia con la progettazione e costruzione da parte degli dei della città di Kiš, che dovrà essere abitata dall’umanità. Terminata la costruzione, il dio del vento Enlil e la dea della procreazione Ištar cercano un uomo che sia adatto a regnare su Kiš, e individuano Etana come persona più appropriata. Per Novotny (2001, p. xi) questo atto fonda mitologicamente l’origine del potere sovrano fra gli uomini, e Selz (1998) vede la leggenda di Etana aver ricoperto la funzione di stabilire i principi dell’ereditarietà e del regno dinastico, provvedendo alla loro legittimazione.
Il racconto prosegue con la presentazione di un problema di natura, appunto, ereditaria: la moglie di Etana non riesce ad avere dei figli, probabilmente a causa di una malattia denominata la’bu che non le permette di portare a termine le gravidanze. La moglie ha un sogno, in cui vede una pianta, la “pianta della procreazione” (šammu ša alādi), e comunica il sogno a Etana:
“… era la pianta della nascita!
… la terra iniziò ad aprirsi,
… ho visto la sua crescita;
…. pianta divenne maturo, mi rallegrai” (Wilson, 1974, p. 242)
Per Wilson in queste righe frammentarie sarebbero indicati alcuni stadi di sviluppo della pianta, che la moglie di Etana nel sogno vederebbe crescere davanti a lei. In una riedizione del testo, il medesimo Wilson (1985, p. 87) ritraduce le ultime due righe come segue: “…. non ho potuto vedere dove cresce. E [quando il fiore] della pianta fiorì, si seccò via”. Da quest’ultimo passo lo studioso sospetta che vi sia un’indicazione che la pianta possa essere usata una sola volta, un dato che troverà conferma nelle parole di Ištar che vederemo più avanti. In un nuovo frammento si legge una riga aggiuntiva dove si evince che nel sogno la moglie di Etana vede la pianta tenuta nella mano di una figura maschile: “Egli tiene la pianta nella sua mano destra – così il sogno è favorevole”. Dal medesimo frammento veniamo a sapere il doppio nome della moglie di Etana, Muanna e Sherbi, dove il primo significherebbe “prole del cielo” o “bambina del cielo” (Wilson, 2007, p. 16).
Dopodiché la scena cambia, e diventa protagonista una coppia di animali simbolicamente antitetici, un’aquila e un serpente. Questi decidono di essere amici, di aiutarsi vicendevolmente, e di andare a cacciare insieme sui monti per le loro proli. I due animali vincolano l’amicizia con un solenne giuramento pronunciato davanti al dio-sole, Šamaš. Vivono presso il medesimo albero, un pioppo dell’Eufrate che parrebbe trovarsi in un giardino della città di Kiš, l’una avendo nidificato sui rami più alti, l’altro fra le sue radici.
Ma a un certo momento la loro amicizia viene meno per colpa dell’aquila che, approfittando di un momento di assenza del serpente, scende nel suo nido e ne sbrana i piccoli. Da alcuni frammenti del testo sembrerebbe che l’aquila non faccia questa azione per pura malvagità, ma perché mossa dalla preoccupazione che il serpente la preceda nell’inevitabile rottura dell’amicizia. In questo passo il testo è molto frammentario, e ciò ha dato adito a diverse interpretazioni e ipotesi sul motivo del tradimento dell’aquila. In una variante, presente in un frammento di tavoletta venuto alla luce dagli scavi di Susi e datata alla prima dinastia babilonese, l’aquila, prima di compiere il gesto omicida, si rivolge ai suoi piccoli per spiegare le sue intenzioni:
“Figli miei….
andranno e cercheranno….
cercheranno l’erba di [del generare]…
e io voglio mangiare i figli del serpente….
volerò….
e troneggerò…” (Scheil, 1927, p. 105).
In un’altra versione si legge:
“Voglio mangiare i figli del serpente. Il serpente il cuore…
Salirò e in cielo starò,
scenderò sulla cima dell’albero e mangerò il frutto” (Saporetti, 1990, p. 63)
Secondo Saporetti, l’aquila aveva compreso che i piccoli del serpente si sarebbero prima o poi impossessati della “pianta della procreazione” (“andranno, cercheranno”), e ciò avrebbe comportato in un qualche modo una disparità di rapporto fra le due specie animali; per questo l’aquila avrebbe deciso di anticipare gli eventi, impadronendosi della pianta (“mangerò il frutto”) e trucidando i piccoli del serpente. “Ecco quindi che l’intenzione di divorare i piccoli del serpente pare essere legata in un qualche modo all’esistenza della pianta del generare” (Saporetti, 1984, p. 63).
Al ritorno, il serpente vede il nido distrutto, e dalle orme lasciate sul terreno comprende chi è stato l’autore del misfatto. Disperato, chiede giustizia al dio Šamaš, testimone del giuramento un tempo pronunciato fra il serpente e l’aquila. Rispondendo alle suppliche, Šamaš aiuta il serpente a vendicarsi, e questo riesce a spennare l’aquila e a gettarla in una fossa, dove intende lasciarla morire di fame e di sete.
Il racconto, dopo importanti lacune, prosegue con una lamentela dell’aquila e un suo dialogo con Šamaš, che sembra prometterle di inviarle un uomo che la salverà (Jastrow, 1910, p. 108).
Dal canto suo, Etana è disperato perché non riesce ad avere figli, non potendo quindi assicurare una continuità alla discendenza regale, e prega ogni giorno Šamaš, lo supplica affinché gli conceda dei figli, e gli chiede anche la pianta della procreazione: “oh signore, dammi la pianta della nascita! Esponimi cosa è nascosto!” (Wilson, 1985, p. 59).
A un certo punto Šamaš risponde alle suppliche di Etana e gli comunica in sogno un preciso messaggio:
“Segui la strada, attraversa i monti;
Appena hai attraversato le colline,
cerca una fossa, avvicinati.
Dentro è stato gettata un’aquila;
essa ti darà la pianta della procreazione!” (Wilson, 1985, p. 59)
Da ciò si evincerebbe che l’aquila, dopo la strage dei piccoli di serpente riportata nella prima parte del racconto, sia riuscita a sapere dove fosse o forse ad appropriarsi di questa pianta.
Etana effettua il viaggio oltre i monti e trova la fossa dove giace l’aquila, la salva aiutandola a uscire dalla fossa e la cura sino a farle ricrescere le piume. A questo punto Etana chiede anche all’aquila l’erba della procreazione:
“Amico mio, dammi la pianta della procreazione!
Rivelami la pianta della procreazione!” (Wilson, 1985, p. 105)
L’aquila risponde che questa pianta non si trova in alcun angolo della terra, e suggerisce di rivolgersi a Ištar per avere informazioni.
Seguono una serie di sogni e alcuni tentativi di ascesa ai cieli, ma il numero dei sogni e delle ascese, così come l’ordine cronologico di questi eventi sono stati molto dibattuti fra gli studiosi. Wilson ha contato inizialmente quattro ascese al cielo, ma in seguito a nuovi dati ne ha riconosciute solamente due, un dato su cui sembrano essere concordi tutti gli studiosi, a parte Saporetti, che ritiene vi sia stata una sola ascesa al cielo.
La descrizione dei sogni è molto frammentaria; in uno di questi, forse il secondo, Etana vede serpenti cattivi che gli presentano omaggi e tributi. In un altro, che Wilson ritiene fatto dall’aquila, essa si vede salire al cielo portando sulle spalle Etana, raggiungere via via le sette dimore delle divinità Anu, Enlil (il dio del vento), Ea (dio della sapienza), Sin (la luna), Šamaš (il sole), Adad (dio della tempesta), e infine Ištar (dea della procreazione). Quindi i due personaggi terreni entrano in una casa e interagiscono con una figura femminile, molto probabilmente Ištar, seduta su un trono e circondata da leoni. Nel momento in cui i leoni stanno per lanciarsi contro l’aquila ed Etana, l’aquila si sveglia di soprassalto, intimorita. Da questo sogno Etana parrebbe ricevere comunque un’importante informazione: la pianta della procreazione si trova nel cielo di Ištar.
In una prima ascesa al cielo, l’aquila ed Etana parrebbero riuscire a raggiungere via via i sette cieli, ma a un certo punto il sovrano sembra intimorirsi e collassa sul dorso dell’aquila, ed entrambi precipitano, pur salvandosi poiché forse atterrano su una catasta di legno che ne ammorbidisce l’impatto al suolo. E’ forse dopo questo primo tentativo che andrebbero collocati un paio di sogni, o forse tre, di cui uno potrebbe riguardare l’indicazione del luogo dove cercare la pianta, e un altro riguarderebbe la visione dell’ascesa al cielo (Novotny, 2001, p. xiii). Wilson (2007, p. 29) ha suggerito la possibilità che la prima ascesa al cielo avesse il solo scopo di provare la resistenza e le concrete capacità dell’aquila di poter effettuare il volo con in groppa Etana, e che solamente la seconda ascesa avesse per scopo l’incontro con Ištar.
Sul fatto che Etana riesca a ottenere la pianta della procreazione non v’è stato accordo fra gli studiosi, dato che non tutti hanno accettato l’inclusione di alcuni brani come facenti parte del racconto. Ma il fallimento nell’ottenimento della pianta della procreazione trova difficoltà di concordanza con la constatazione, riconosciuta da tutti gli studiosi, che in un modo o in un altro Etana sembra infine aver risolto il problema della procreazione, dato che nella Lista dei Re Sumeri è riportato che Etana ebbe un figlio successore di nome Balih:
“Etana, il pastore, colui che ascese ai cieli,
che mise in ordine tutti i paesi, era re;
Regnò 1500 anni; Balih, figlio di Etana, regnò 400 anni”
(Lista dei Re Sumeri, i 39-ii 22; rip. in Winitzer, 2013, p. 456).
Saporetti ha negato una qualunque continuazione del racconto, e tanto meno con risultati positivi, convinto in un’unica ascesa al cielo, fallimentare: “Qualunque proposta ci sia stata per trovare un seguito alla storia, credo che di sicuro non ci sia nulla: né testi proposti come ipotetica continuazione, né quanto si è voluto immaginare”. Una risoluzione un po’ troppo perentoria, che serve allo studioso italiano per avvallare la sua personalissima visione di un “insegnamento morale” della storia di Etana, e che sarebbe costituito dalla caparbietà umana comunque premiata indipendentemente dai risultati; Etana sarebbe stato premiato ottenendo finalmente un figlio per la sua ostinazione nel “travalicare la propria debolezza ergendosi a imitatore di Dio” (Saporetti, 1990, p. 67). Una considerazione fantasiosa e che by-passa in maniera troppo serpentina il problema di come Etana sia di fatto riuscito a ottenere un figlio.
Con argomentazioni almeno un po’ più concrete, la cui comprensione e valutazione sono tuttavia relegate agli specialisti della scrittura cuneiforme, anche Horowitz (1990) era giunto alla conclusione di una singola ascesa ai cieli di Etana, quella conclusasi con la caduta al suolo. Ma i ritrovamenti di nuovi frammenti del racconto non danno ragione a questi sostenitori di una sola ascesa al cielo.
Un frammento della Versione Tarda descriverebbe l’incontro effettivamente avvenuto fra Etana e Ištar, e la consegna dell’agognata pianta:
“Etana …. era paralizzato dalla paura.
E non poteva vedere che una pianta era tenuta nella sua [di lei] mano.
La dea si presentò a lui con la pianta, recitando una preghiera:
Ištar gli diede la pianta recitandovi sopra una preghiera e dicendo:
….
Con questa pianta….
….
Più fragrante …. del bosso il cui odore è come di erbe fragranti.
Ma questo devi ricordare … come un comando per te:
Metti una guardia su di essa, che sia protetta con qualunque arma.
Poiché un’altra pianta di questo tipo non può fuoriuscire dalla mia mano, o essere rilasciata una seconda volta” (Wilson, 2007, p. 39).
Questo testo avvalorerebbe l’idea di un’intima associazione della pianta della procreazione con Ištar, come fosse una “sua” pianta, un suo attributo vegetale; similmente al caso del dio egizio Min e della “sua” pianta, la lattuga selvatica (si veda Il dio itifallico Min e la lattuga, e Samorini, 2003-04).
Un altro frammento, fra quelli inclusi da Wilson nell’epopea etanaica, sembrerebbe trattare della nascita di un figlio della moglie di Etana:
“… la sua prima moglie…
E prima del tempo di appuntamento quando il bambino del suo grembo….
Appena…. iniziò a contrarsi,
… un nuovo germoglio della pianta della procreazione.
E appena l’angoscia la sopraffece, il luogo sotto il germoglio della pianta della procreazione…
E gli spasimi del travaglio la lasciarono nel suo tempo del travaglio.
Riguardo il bambino del suo grembo, nessun … poteva prevenire….
E solo quando si seccò poté il demone … la pianta.” (Wilson, 1969, p. 16)
In un primo momento Wilson ritenne che in questo passo la pianta della procreazione fosse coinvolta con il parto della moglie di Etana; in seguito (Wilson, 1985, p. 13) eliminò dal ciclo di Etana questo brano, pensando che potesse riferirsi a un parto prematuro. Ma nuovi frammenti nel frattempo sopravvenuti confermerebbero non solo la pertinenza del brano suddetto all’epopea, ma anche la realtà dell’impiego della pianta nel corso della gestazione della moglie di Etana. In uno di questi si legge come Etana abbia piantato il vegetale in un giardino della città di Kiš, e del succo della pianta che viene dato da bere alla donna durante la gestazione (Wilson, 2007, p. 44).
Sigillo mesopotamico con raffigurazioni inerenti l’Epopea di Etana (da Wilson, 2007, Tav. XIVa)
Se non tutti gli studiosi riconoscono il successo di Etana nel conseguire la pianta della procreazione consegnatagli di persona dalla dea Ištar, e la somministrazione del vegetale alla moglie di Etana durante la gestazione, solo Wilson vede un lungo prosieguo dell’epopea di Etana, mediante l’inclusione di ulteriori passi, dove comunque la pianta parrebbe uscire di scena, e che quindi, non essendo significativi nel contesto del presente studio di interesse etnobotanico, riassumo succintamente.
Dopo il parto di Muanna, con la nascita del figlio Balih, torna di scena l’aquila che, risentita per un qualche torto che avrebbe ricevuto da Etana, rapisce il piccolo Balih, che viene allevato in una città delle regioni montuose; Muanna avrebbe un secondo sogno che le presagirebbe la sua morte e quella di Etana; segue la morte effettiva di Muanna e una malattia di Etana, durante la quale il re viene visitato da un fantasma; quindi Etana decide di invadere con un’armata l’area dei monti e la città di Urīzana, dove sarebbe stato allevato suo figlio dopo il rapimento; Etana viene ferito gravemente in un duello contro un combattente nemico, e si accorge che l’avversario altro non è che suo figlio Balih; sul punto di morte passa a suo figlio lo scettro reale; sul monte Shilānu Balih fa erigere un monumento in ricordo a suo padre, quindi torna da sovrano a Kiš, pur nel rimorso per il patricidio di cui è stato responsabile (Wilson, 2007, pp. 87-88).
Con tutto ciò, il ciclo di Etana, oltre a dover essere considerato non più una leggenda ma una vera e propria epopea, ritrova tutto il senso dei grandi cicli epici mesopotamici, con una parte finale in cui le cose sembrano tornare tutte al loro posto: la città di Kiš ha un nuovo re che altro non è che il figlio del re, e così viene stabilito il principio della dinasticità del regno, come voluto dagli dei (e dai re); Etana, pur morendo, è divenuto immortale con il mito che gli è stato dedicato e che è giunto fino a noi; il serpente e l’aquila sembrano essere scomparsi, ma in realtà saranno sempre pronti a tornare protagonisti in altri racconti mitologici.
Sempre Wilson (2007, p. 51) ha dato un’interessante interpretazione di un passo dello scrittore latino Eliano, che nella sua opera La natura degli animali ha riportato la storia ambientata a Babilonia di un’aquila che salvò un neonato di nome Ghilghamo, che evidentemente altro non è che il nome di Gilghames:
“Quando era re di Babilonia Sevecoro, gli oracoli dei Caldei gli predissero che il figlio nato da sua figlia avrebbe tolto il regno al nonno. Gli si rizzarono i capelli e si comportò verso la figlia come il re Acrisio: la sottopose cioè, a una strettissima sorveglianza. Ma nonostante ciò, il destino si mostrò più astuto del re di Babilonia: la principessa infatti fu messa in cinta, nascostamente, da un uomo di oscura condizione sociale e partorì un bambino. Coloro che l’avevano in custodia, temendo la reazione del re, lo gettarono giù dall’acropoli. Là infatti la principessa era tenuta prigioniera. Ma un’aquila, con la sua vista acutissima, scorgendo il neonato che stava precipitando, intervenne prima che si schiantasse al suolo e volando sotto di lui lo raccolse sulla schiena e lo portò in un giardino, dove lo pose al suolo con la massima cura. Quando il custode del luogo vide quel bambino così grazioso, se ne innamorò e volle allevarlo. Fu chiamato Ghilgamo e divenne re di Babilonia” (Eliano, Nat.Anim., XII, 21).1
Secondo Wilson questa vicenda potrebbe essere un’eco favolistica dell’epopea di Etana, dove il nome Ghilghamo sarebbe stato confuso con quello del figlio di Etana, Balih, dato che il motivo dell’aquila che salva Gilghamesh non è noto nella mitologia mesopotamica, mentre è più consono al tema del rapimento di Balih da parte dell’aquila, del suo allevamento in un’altra città e della sua intronizzazione successiva alla morte di suo padre.
Dal punto di vista iconografico, sono noti alcuni sigilli mesopotamici, almeno 11, quasi tutti più antichi dei testi scritti su Etana, datati al periodo accadico. In essi è presente l’immagine di un’aquila ad ali spiegate che porta sulla groppa un uomo, identificato da tutti gli studiosi con Etana. Ma mentre Quaegebeur (1982), nel presentare questi reperti, non riesce a spiegare in maniera soddisfacente il contesto scenico di tale rappresentazione, Wilson (2007) è andato oltre a questa mera identificazione, riconoscendo in questi sigilli, in cui sono presenti numerose raffigurazioni di uomini, serpenti, alberi, pugnali, ecc., altri tempi legati al medesimo ciclo epico di Etana.
Sigillo accadico con raffigurazioni inerenti l’Epopea di Etana (da Collon, 2005, p. 180, n. 851)
Circa la pianta della procreazione di Etana, Saporetti la ritiene dotata di proprietà speciali, che vanno oltre a quelle di un’erba curativa, vedendovi proprietà di natura divina, e cioè “la proprietà che solo gli dei posseggono, di generare dal niente, di creare il mondo e gli esseri viventi” (Saporetti, 1990, p. 32); si tratterrebbe quindi una pianta “creatrice”. Ma il motivo di una pianta che, come la bacchetta magica di Herry Potter, crea gli oggetti, gli esseri viventi e il resto del mondo, non è noto nell’ambiente antico mesopotamico e nemmeno levantino, egizio o mediterraneo, e parrebbe essere maggiormente frutto della fantasia dello studioso. La pianta della procreazione è una pianta che permette di generare figli, non importa se con concreti poteri curativi o magici, e non a caso parrebbe essere associata alla dea che presiede al parto e alla procreazione, Ištar. Bottéro (1969/70, rip. in Wilson, 2007, p. 46) riteneva che la pianta della procreazione fosse servita per facilitare il parto, e non fosse uno stimolante della fertilità.
Saporetti vede inoltre un’analogia fra la leggenda di Etana e quella di Gilgameš. basandosi sulla considerazione che la pianta di Gilgameš avrebbe reso l’eroe immortale, e che anche la pianta di Etana è da considerare in un qualche modo una pianta dell’immortalità poiché, essendo in grado di assicurare una progenie al re, sarebbe datrice anch’essa di immortalità: “E’ noto che la trasmissione del proprio seme nei figli, e tramite essi nei nipoti e nei posteri, equivale nel Vicino Oriente Antico a una vera e propria acquisizione di immortalità” (Saporetti, 1985, p. 64). Ma si tratta di una congettura forzata e chi si basa sull’errata considerazione che la pianta di Gilgameš sia una pianta che dona l’immortalità, quando invece dona solo la giovinezza; una confusione in cui sono ricaduti non pochi studiosi, come sottolineato da Pettinato (1994). Più pertinente sembrerebbe l’analogia fra il tema dell’ascesa al cielo di Etana a cavallo dell’aquila e quello dell’ascesa al cielo di Alessandro Magno per mezzo di altri volatili, i grifoni (Saporetti, 1985).
Una reminiscenza della leggenda di Etana si trova in una favola di Esopo, scrittore greco che visse fra il VII e il VI secolo a.C. La prima parte del racconto, intitolato “L’aquila e la volpe”, ha una struttura identica alla prima parte della leggenda di Etana, sebbene il serpente sia sostituito in Esiodo da una volpe:
“Un’aquila e una volpe, fattesi amiche, stabilirono di abitare una vicino all’altra, pensando che la vita in comune avrebbe rafforzato la loro amicizia. Ed ecco che la prima volò sulla cima di un albero altissimo e vi fece il suo nido; l’altra strisciò sotto il cespuglio che cresceva ai suoi piedi e qui partorì i suoi piccoli. Ma un giorno, mentre la volpe era uscita a cercar da mangiare, l’aquila, che si trovava a corto di cibo, piombò nel cespuglio, afferrò i volpacchiotti e se ne fece una scorpacciata insieme con i suoi figli” (Esopo, Favole, 3).2
L’analogia con il mito di Etana è così stridente, che è impensabile un’elaborazione indipendente della favola di Esopo. La sostituzione del serpente con la volpe è stata interpretata come un’esigenza di adattamento del racconto alla cultura ellenistica, “in quanto, a differenza del rettile, la volpe corrispondeva meglio alla fisionomia ideale della vittima; e il carattere di violenza e iniquità che riveste nella favola l’azione dell’aquila, esercitandosi ormai questa azione non più su un rettile pericoloso e repellente, ma su un animale docile e dall’intelligenza vivace, ne usciva implicitamente sottolineato” (Baldi, 1961, p. 381, n. 2).
Note
1 – Dalla traduzione a cura di Francesco Maspero nell’edizione del 1998 della Rizzoli di Milano.
2 – Dall’edizione del 1992 edita dalla Rizzoli di Milano, tradotto dal greco da Elena Ceva Valla.
Si vedano anche:
La pianta dell’irrequietezza di Gilgamesh
L’erba di Glauco
Mitologia delle piante inebrianti
BALDI AGNELLO, 1961, Tracce del mito di Etana in Archiloco ed Esopo, Aevum, vol. 35, pp. 381-384.
BAUDOT M.P., 1982, representations in glyptic art of a preserved legend: Etana, the shepherd, who ascended to Heaven, in: J. Quaegebeur (Ed.), Studia Paulo Naster Oblata. II. Orientalia Antiqua, Uitgeverij Peeters, Leuven, pp. 1-8 + Pl. I-II.
COLLON DOMINIQUE, 2005, First impressions. Cylinder seals in the ancient Near East, British Museum, London.
HOROWITZ WAYNE, 1990, Two notes on Etana’s flight to heaven, Orientalia, vol. 59, pp. 511-517.
JASTROW MORRIS, 1910, Another fragment of the Etana myth, Journal of the American Oriental Society, vol. 30, pp. 101-131.
NOVOTNY R. JAMIE, 2001, The Standard Babylonian Etana Epic, Department of Asian and African Studies, Helsinki.
PETTINATO GIOVANNI, 1994, Gilgameš e la “Pianta della Vita”, Studi Orientali e Linguistici, vol. 5, pp. 11-41).
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SAPORETTI CLAUDIO, 1984, Dieci brevi note in margine ad Etana, Egitto e Vicino Oriente, vol. 8, pp. 61-73.
SAPORETTI CLAUDIO, 1985, Dieci appunti dai testi di Etana, Egitto e Vicino Oriente, vol. 8, pp. 63-71.
SAPORETTI CLAUDIO, 1990, Etana, Sellerio, Palermo.
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WILSON J.V. KINNIER, 1969, Some contribituons to the Legend of Etana, Iraq, vol. 31, pp. 8-17.
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Fonte: http://samorini.it/site/etnobotanica/asia/la-pianta-di-etana/
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