Dallo Zep Tepi ai seguaci di Horus, quando l'Egitto era governato dagli Dei



Di Giuseppe Di Re

Prima del dominio dei faraoni e dell’unificazione dell’Alto e Basso Egitto da parte del leggendario sovrano Narmer, prima ancora della dinastia “0” (zero) e del Regno predinastico, gli dèi, i Neteru, governavano le antiche terre d’Egitto durante lo “Zep Tepi”.

Lo Zep Tepi, noto anche come “il primo tempo“, è una ricostruzione storica tramandata dagli egizi in cui viene narrata la storia dei regnanti, divini e umani, che colonizzarono in un’epoca ancestrale l’antico Egitto, prima del dominio vero e proprio dei Faraoni e della cronologia comunemente tramandata a scuola, e cioè quella che farebbe risalire la nascita dell’Egitto “solo” al 3100 a.C., mentre la storia dello “Zep Tepi” rimanda a una cronologia ben più remota, “mancando all’appello” così ben 27.000 anni! Ma andiamo con ordine.





Il tempio di Horus a Edfu, sulle cui pareti sono incise le cronache dell’antica battaglia tra i compagni di Horus e i seguaci di Seth

L’epoca dello “Zep Tepi” viene citata soprattutto nel “Papiro di Torino“, nella “Pietra di Palermo” e in altri antichi e importantissimi testi egizi, e viene riportato nelle cronache di molti storici antichi che vissero e visitarono l’Egitto più di 2.000 anni fa.

Di quest’epoca ancestrale parlò ad esempio Manetone (Sebennito, inizio III secolo a.C. – …) storico e sacerdote egizio che visse durante il regno di Tolomeo I e Tolomeo II. Egli – e come vedremo anche molti altri dopo di lui – riferì della presenza di antichi e potenti sovrani di natura divina e semi-divina che civilizzarono e governarono l’Egitto sotto forma di faraoni, come menzionato nel suo lavoro “Aegyptiaca” (“Storia dell’Egitto”).

Secondo la mitologia egizia, Geb e Nut procrearono Osiride, Iside, Seth e Nephtis. Osiride e Iside a loro volta generarono Horus, l’ultimo sovrano della dinastia divina celeste. Questa vicenda, riportata anche da Manetone, è nota con il termine greco di “Enneade”.

Secondo lo storico greco Eusebio di Cesarea (265-340, vescovo e scrittore greco), che cita gli scritti di Manetone, la primordiale civiltà egizia può essere suddivisa in quattro dinastie, due di origine divina, una composta da semidèi e una quarta di faraoni mortali.
DESCRIZIONE DELLO “ZEP TEPI”





Nella fila in alto sono rappresentati i primi dieci “Neteru” (divinità) che colonizzarono e governarono poi l’Egitto

Eusebio, citando Manetone, dà inizio alla civiltà egizia ben nel 30.544 a.C., una data molto remota rispetto alla cronologia a cui siamo abituati comunemente a pensare, e la sua nascita viene fatta risalire a 7 grandi e potenti dèi, i “Neteru”: Ptah, Ra, Shu, Geb, Osiride, Seth e Horus, che regnarono complessivamente per 13.900 anni, di cui Osiride fu il quinto sovrano.

I “Neteru“, dèi primordiali che colonizzarono l’Egitto, regnarono sulle terre del Nilo durante il cosiddetto “primo tempo”, lo “Zep Tepi” cioè in lingua egiziaca antica, quando questa terra era abitata sia appunto dai “Neteru” che da un’altra stirpe, gli “Urshu”.

Dopo questi grandi sovrani ci fu una seconda dinastia a governare l’Egitto e fu quella guidata da Toth, composta a sua volta da 12 faraoni di origine divina che governarono per più di 1.255 anni.

A questa stirpe ne seguì una di natura semidivina, che regnò per 1.817 anni. Altri trenta re regnarono complessivamente per 1.790 anni, poi altri dieci regnarono sulla sola Tebe per 350 anni, laddove oggi sorgono le città di Karnak e Luxor.

Infine, per 5.813 anni abbiamo l’ultimo periodo predinastico, quello in cui regnarono gli “Shemsu-Hor“, chiamati anche “Spiriti venerabili”, che venivano generalmente identificati con i “seguaci di Horus”, e il loro simbolo era il falco.

Diodoro Siculo (storico greco in Sicilia, 80-20 a.C.) riporta in dettaglio una cronaca complessiva risalente al 23.100 a.C., mentre lo storico Erodoto, nelle sue “Storie”, con i suoi 39.000 anni complessivi è quasi in accordo con quanto riportato nel “Papiro dei Re“, la fonte principale della storia dello “Zep Tepi”.

IL “PAPIRO DEI RE”



Frammenti del “Papiro Reale” conservati nel Museo egizio di Torino

“Il Papiro dei Re“, conosciuto anche come “Canone regio” o “Lista Reale” o anche come “Papiro di Torino”, è un documento risalente alla XIX dinastia egizia, scritto in ieratico – una scrittura geroglifica egiziana – durante il regno di Ramses II (1290 a.C. – 1224 a.C.).

Questo documento, appartenente alla collezione Drovetti, fu acquistato nel 1824 da Carlo Felice di Savoia. È stato esaminato e studiato attentamente da Champollion, Seiffarth e Giulio Farina.

In questo importante e antico papiro si leggono ben novanta nomi tra cui i primi dieci “Neteru” (le divinità principali del Pantheon egizio) che regnarono come faraoni in un paesaggio lussureggiante, dall’aspetto diametralmente opposto all’attuale landa arida e deserta.

Insieme ai loro nomi, sono indicati anche gli anni di regno di ciascuno, talvolta anche con i mesi e i giorni.

Segue l’elenco dei sovrani, dall’unificazione dell’Alto e Basso Egitto fino al momento della compilazione (durante la XIX dinastia) del papiro. Il riepilogo finale del documento menziona il regno dei “venerabili” Shemsu-Hor, della durata di 13.420 anni, mentre attribuisce 23.200 anni ai regni precedenti gli Shemsu, per un totale di 36.620 anni.

Purtroppo la solita autoreferenziale “accademia”, nata e sviluppatosi in seno alla cultura illuminista, assegna l’inizio della civiltà egizia partendo solo dal 3.100 a.C., non degnandosi minimamente di considerare neanche i nomi dei sovrani appartenuti ai periodi precedenti tale data.

Vista la quasi impossibilità di risalire ad ulteriori fonti di questa primigenia epoca dell’Antico Egitto, non potendo quindi avere accurate notizie della loro provenienza, considerando anche la poca documentazione giunta al riguardo fino ai giorni nostri, ora ci concentreremo sulle epoche successive a quella dello “Zep Tepi”, quando cioè l’Egitto era governato dagli “Shemsu-Hor”, ovvero dai compagni del dio Horus, una delle ultime dinastie semidivine prima dell’avvento dell'”ultima dinastia”, quella alla quale si attribuisce la comune storia dell'”Antico Egitto” (3.100 a.C. e seguenti).

GLI “SHEMSU-HOR”, I COMPAGNI DI HORUS




Sempre dal tempio di Edfu, scena di lotta tra i seguaci di Seth e quelli di Horus

Si può affermare senza tema di essere smentiti che i “Seguaci di Horus” rimangono uno dei più grandi e fitti enigmi per i ricercatori, gli storici e più in generale gli appassionati di egittologia che cercano di ricostruire la storia delle origini di questa antica civiltà.

L’egittologo Kurt Sethe individuò negli “Shemsu-Hor” gli antichi sovrani della città di Hierakompolis, la “Città del Falco”, nome greco dell’antica necropoli di Nekhen, e di Buto, un’antica località situata sul delta del Nilo a circa 20 km a nord di Sais, la cui storia è narrata in un papiro geroglifico di epoca romana che narra di tradizioni e leggende popolari.

Questi preistorici e misteriosi sovrani, secondo la tradizione egizia, sarebbero coloro che avrebbero affiancato il dio Horus nella battaglia contro Seth, nella località di Buto, per la conquista della corona del Basso Egitto.

Sulle pareti del tempio di Edfu è stato ritratto il resoconto di queste leggendarie battaglie. Nei dipinti i seguaci di Horus sono rappresentati su barche a vela armati di arpioni, mentre si scagliano contro i seguaci di Seth, rappresentati invece con ippopotami.

La vittoria di Horus e dei suoi compagni fece si che questi regnassero sull’Egitto dopo lo Zep Tepi, ovvero l’epoca in cui i Neteru (gli Dei) regnarono sulla Terra, fino alla cosiddetta “Dinastia 0”.

Gli “Shemsu-Hor” avrebbero fatto rinascere la civiltà nel Basso Egitto nel nome dell’ultimo “Neteru” Horus, dio-falco figlio di Iside e Osiride in contrapposizione alla dominazione sviluppatasi nel Medio e Alto Egitto sotto i seguaci del dio Seth, nell’immagine a sinistra rappresentato con la testa di canide.

Alcuni studiosi credono che gli “Shemsu-Hor” siano appartenuti al gruppo di “el-Gerza”, antichi e misteriosi uomini dolicocefali (dal cranio allungato), dai capelli biondi (un attributo abbastanza inusuale per quelle latitudini) e dall’alta statura, considerati grandi guerrieri e incredibili costruttori, e che portarono progresso a partire proprio dal Basso Egitto (intendendo per Alto e Basso Egitto rispettivamente le zone di più remoto scorrimento del fiume Nilo e quella invece di vicinanza alla foce mediterranea).



La cultura gerzeana, dei seguaci cioè altissimi e biondi del dio Horus, si estese all’Alto Egitto partendo dal Basso. Scontrandosi e vincendo gli adepti di Seth, gli “horusiani” ottennero così la formazione di un unico regno, sul quale regnarono i successivi sovrani.



Medio Regno, XII dinastia, dalla statua del faraone Sesostri: dettagli del trono raffiguranti Horus e Seth con il simbolo dell’unità dei due Paesi che composero l’Antico Egitto (Alto e Basso Egitto). Reperto proveniente dalla località di Al Lisht, ora esposto al Museo egizio del Cairo

A tal proposito, lo studiosi tedesco Walter Belz sostiene che il famoso mito dello scontro tra Horus e Seth sia proprio la trasposizione leggendaria di antichissime battaglie avvenute realmente tra due sovrani predinastici che si affrontarono per estendere il rispettivo dominio e aggiudicarsi antichi territori.

Circa l’identità degli Shemsu, l’egittologo inglese Walter Bryan Emery (1902-1971) ha scritto che verso la fine del IV millennio a.C.,il popolo noto come “Shemsu-Hor” corrispondeva ad una precisa classe di aristocratici che governava l’intero Egitto.


L’egittologo e orientalista inglese Ernest Alfred Thompson Wallis Budge (1857- 1934), famoso soprattutto per aver lavorato per il British Museum e per aver pubblicato molte importanti opere sul vicino Oriente antico, ha offerto invece un’interpretazione propria e alquanto originale della questione, traducendo il nome di “Shemsu-Hor” con “fabbri di Horus“, al servizio del dio “Horus”, preferendola dunque a quella più diffusa di compagni (o seguaci) di Horus.

Nel tempio di epoca tolemaica di Hathor, a Dendera, ci sono iscrizioni che riportano di antichi eventi accaduti in epoche precedenti a quella di Pepi I, della VI dinastia, e che confermano l’esistenza di un tempio ancor più antico.

In particolare, sono state rinvenute in una cripta delle iscrizioni che menzionano un periodo pre-dinastico e i leggendari “Shemsu-Hor”.

Queste antiche iscrizioni ci dicono che furono proprio gli “Shemsu-Hor” a progettare il tempio, e la citazione riporta anche il particolare secondo cui fu il sovrano Thutmose III (1481 a.C. – 1425 a.C.) della XVIII dinastia a voler erigere l’edificio, avendo ritrovato nella città di Dendera degli antichi disegni del progetto eseguiti sia su un rotolo di pelle del periodo degli “Shemsu-Hor” sia una riproduzione del muro del lato sud già edificato in precedenza dal sovrano Pepi I.

LA “TOMBA 100”: PARTICOLARI





Riproduzione di W. Green raffigurante l’affresco di Nekhen (la “Tomba 100”) nel suo stato originario. Si notino le “navi” incagliate nella sabbia. Qui una raffigurazione ancora più grande dell’affresco. E’ probabile che le parti dipinte in arancio rappresentino acqua mentre quelle in giallo, dove si trovano le barche incagliate, siano sabbia o terra (più probabilmente sabbia)


Come accennato nell’articolo sul culto del toro, in una necropoli situata nell’antica città egizia di Nekhen chiamata successivamente dagli ellenici “Hierakonpolis” – la “città del falco” – fu rinvenuta una tomba chiamata la “Tomba 100“, e in alcuni frammenti di un dipinto posto originariamente nella tomba stessa – e relegati ora in una sala al piano superiore del Museo Egizio del Cairo, lontano dalla vista di curiosi, visitatori e turisti appassionati – sono rappresentate svariate scene di caccia e di guerra con la presenza di guerrieri che si danno battaglia; questi hanno le braccia aperte e dirigono gruppi di animali raccolti in una fila; vi è la presenza di sei grandi navi, cinque bianche e una nera, e di alcune donne prigioniere legate ed inginocchiate; ci sono anche altre scene di sanguinose battaglie tra due gruppi diversi di uomini, alcuni dipinti con la pelle bianca altri con la pelle più scura.

La questione più scottante – a parte l’allusiva “disposizione in disparte” dei resti del dipinto nel museo – è lo scopo e la provenienza di quelle imbarcazioni: che ci fanno delle navi incagliate nella sabbia, e soprattutto rappresentate in un monumento funerario, dunque indicative di qualcosa di importante riguardo alla provenienza probabilmente del defunto?

Anticipiamo alcune conclusioni: è probabile che si tratti di imbarcazioni fluviali, dunque dedicate alla navigazione sul fiume Nilo, che venivano smontate e rimontate per poter attraversare zone di terra non altrimenti superabili: e quali potevano essere queste zone di terra se non le coste adiacenti il Nilo e dunque quelle del Mar Rosso che portavano nel Vicino Oriente?

La “tomba 100” era la sepoltura di uno sconosciuto uomo appartenente alla preistoria egizia (3500 – 3200 a.C.) e doveva essere una persona importante se l’artista a cui era stata commissionata l’opera aveva voluto immortalare un momento decisivo della storia delle “Due Terre”.


Frammenti dell’affresco della “tomba 100” come conservato nel Museo egizio del Cairo. La parte in verde scuro nella parte bassa dovrebbe rappresentare acqua, dunque probabilmente – ma non certo – rappresenterebbe il Mar Mediterraneo.



Nell’affresco si vedono uomini armati di mazza che minacciano non solo animali: non ricordano queste rappresentazioni il tipico gesto di Narmer e dei faraoni, quello del re che colpisce il nemico? E lo stesso era l’atto distintivo dei Compagni di Horus? E non è anche la postura con cui viene rappresentato il dio Baal nelle statuette fenicie e babilonesi?

Secondo alcuni ricercatori questa scena rappresenterebbe proprio la leggendaria battaglia avvenuta nel delta del Nilo tra i sostenitori di Seth e i compagni di Horus per la conquista e l’unificazione delle due terre.

Come abbiamo visto, i seguaci di Horus furono indicati negli scritti e nelle tradizioni come semidèi, forse perché i loro antichissimi nomi non giunsero fino al tempo in cui furono compilate le prime “Liste Reali”, e le loro vicende sono un chiaro esempio in cui storia e leggenda si mescolano dando origine al “mito”.
CONCLUSIONE

Accenniamo ad alcune considerazioni conclusive: l’obbligo di far risalire la nascita dell’antica civiltà egizia non al 3.100 a.C., come comunemente viene fatto dalla storiografia di ascendenza illuminista, ma di “storicizzare” ed includere nella storia dell’Antico Egitto anche “altri” 27.000 anni finora dimenticati, che comprenderebbero il regno di decine di dèi e semidèi descritti nei monumenti calcarei o papiracei giunti fino a noi, dunque comprendendo il processo di unificazione dell’Antico Egitto frutto della lotta finale tra i precedenti abitanti dell’Alto Egitto seguaci del “dio” Seth e i nuovi adepti del biondo ed alto dio Horus, forse antico abitante, viste le sue caratteristiche fisiche e la confidenza con i mezzi di trasporto acquatico della sua stirpe, dall’antico continente perduto di iperborea (collocato nell’attuale Circolo polare artico) o dell’altra mitica terra di Atlantide.

Ci sono anche somiglianze tra la storia di Horus e quella di un altro “mitico” fondatore di civiltà antiche come Viracocha, che era allo stesso modo biondo e si muoveva a bordo di un’imbarcazione (questa volta senza remi, mentre quelle degli “horusiani” erano dotate di alte vele) e che avrebbe colonizzato il Centro e Sud America.

Infine, la lotta e l’inglobamento del regno di Seth in quello dei vincitori, i seguaci di Horus, ultimo discendente delle stirpi egizie di origine divina, potrebbe essere rimasto nella memoria collettiva degli egiziani – da cui non a caso viene fatta discendere “ufficialmente” la “storia” dopo la fine delle dinastie di ascendenza divina – a ricordare qualche epica “lotta”, forse storica appunto, tra differenti concezioni di civiltà, non solo egizia o relativa all’Antico Egitto. Forse di questo contrasto sarebbe rimasta traccia anche nella successiva cultura semitica coeva all’anno 0.

Si ringrazia per la gentile concessione il Sito: "L'immagineperduta"
Link all’articolo originale: [link dal sito www.immagineperduta.it]  Autore: Giuseppe Di Re