La dottrina indù dei cicli cosmici: testi e commento - The Hindu doctrine of cosmic cycles: texts and comments
Kali Yuga |
La dottrina indù delle “quattro età dell’umanità” é la più complessa formulazione tradizionale riguardo alla visione del tempo che sia giunta fino a noi. Presentiamo qui di seguito la traduzione ed il commento dei testi originali indù -con particolare riferimento alla presente Età Oscura (Kali Yuga)- a cura dell’antropologo Mario Polia e pubblicato nel saggio: M.Polia-G.Marletta, “Apocalissi. La fine dei tempi nelle religioni”, Editrice SugarCo.
Età del mondo e decadenza spirituale ed etica nel Bhāgavata Purāņa e nel Vişņu Purāņa
Le citazioni che seguono, permetteranno un corretto intendimento delle relazioni esistenti, nella filosofia religiosa indiana, fra degradazione spirituale ed etica e decadimento del mondo. I passi citati sono tratti dai libri sacri dei Purāņa, contenenti miti relativi alla creazione e alla fine del mondo, oltre a quelli che narrano le discese celesti (avatāra) dei vari dèi del pantheon indù e, in specie, degli avatāra di Vişņu. Per il loro contenuto, meno dottrinario e “tecnico” di quello dei Veda, e per il fascino esercitato dalle narrazioni, i Purāņa esercitarono un potente influsso, specie sulle componenti dell’India meno dedite allo studio dei testi religiosi. I testi “classici” in cui è esposta più compiutamente la tematica esposta nel titolo del paragrafo, sono il Bhāgavata Purāņa e il Vişņu Purāņa.[1]
I testi del Bhāgavata Purāņa. Passi tratti dal libro XI, capitolo V: “Descrizione dei frutti dell’empietà” (trad. E. Burnouf. Abbiamo normalizzato la grafia dei termini sanscriti):
«20. Keśava[2] è onorato durante le età Kŗta, Trēta, Dvāpara e Kali con colori, nomi, forme molteplici e in vari modi.
Nel Kŗta (yuga) è bianco, ha quattro braccia; i suoi capelli sono intrecciati, è vestito di scorza e da una pelle d’antilope nera, cinge il cordone dei bramini (…) porta un bordone e una scodella». Gli attributi del dio, nell’età dell’oro indù, corrispondono a quelli dei sacerdoti e degli asceti, condizione predominante nella prima età dell’umanità.
«22. Gli uomini sono tranquilli, ignorano il rancore, affettuosi, (d’umore) inalterato, onorano Dio con la loro ascesi, la loro tranquillità (d’animo) e tenendo a freno (le loro passioni).
(Dio) è celebrato coi nomi di Hamsa, Suparņa, Vàikuņtha, Dharma, il signore dello Yoga, Īśvara, Manu, Puruşa, l’Indistinto, l’Anima Suprema.
Nell’età Trēta, è rosso, ha quattro braccia e tre cinture; i suoi capelli sono d’oro, egli è l’essenza del triplice (Veda), porta come insegna il grande e il piccolo mestolo per i sacrifici.
Hari, il Dio formato da tutti gli dèi, è adorato dagli uomini più fedeli al proprio dovere e versati nella triplice scienza dei Veda».
«27. Nel Dvāpara (yuga) Bhagavat è di colore oscuro, è vestito di giallo, munito delle sue armi, ornato dello śrīvatsa e dagli altri attributi e insegne a lui proprie.
Allora i mortali desiderosi di conoscere l’Essere supremo (…) onorano, per mezzo dei Veda e dei Tantra, il Puruşa rivestito delle sue insegne regali…».
«A Nārayāna, al Ŗşi, al Puruşa, alla Grande Anima, al Signore dell’Universo, a colui che è lo (stesso) Universo e l’Anima di tutti gli esseri, rendiamo omaggio» (
Bhāgavata Purāņa 1840-1898: 247-248).
Durante il Kali yuga, l’adorazione viene tributata a Krishna, «colui che è nero, ma che, grazie al suo splendore, non è tenebroso» (32), soprattutto mediante la parola di lode e i canti sacri.
«35. Ecco (…) come con un nome e una forma adatta a (ciascuna) età, Bhagavat è adorato dagli uomini di ogni età, lui, Hari, il signore dei beni.
Le anime elette che conoscono le virtù (dell’età Kali) e che di esse si nutrono, onorano questa età poiché in essa è sufficiente celebrare (le lodi a Krishna) per ottenere (il soddisfacimento) di ogni proprio desiderio». Durante il Kali yuga, dato lo stato di offuscamento della mente umana, chiusa alla conoscenza delle cose divine, per ottenere la salvezza dal ciclo delle rinascite sarà sufficiente celebrare le lodi a Krishna, in altre parole, sarà sufficiente seguire la Via della Devozione (bhākti), raccomandata appunto agli uomini dell’ultima età del mondo
(Bhāgavata Purāņa 1840-1898: 248-249).
Dal libro XII, capitolo II: “Descrizione dei mali dell’età Kali” (trad. E. Burnouf):
«1. Di giorno in giorno, per il potere del tempo, deperiranno (…) il Dovere, la Verità, la Purezza, la Pazienza, la Compassione, la Forza e la Memoria.
Nell’età Kali, presso gli uomini, la ricchezza prenderà vantaggiosamente il posto della nobiltà dei natali, della virtù, del merito; diritto e norma saranno determinati dalla forza.
Nel matrimonio, si cercherà unicamente il piacere; negli affari la scaltrezza; nel sesso maschile e femminile, la voluttà; nel bramino, il cordone.
Solo i segni esteriori distingueranno l’appartenenza alla casta e permetteranno di passare dall’una all’altra; se si sarà poveri, il giusto diritto non avrà forza alcuna; la verbosità prenderà il posto della conoscenza.
Basterà esser povero per essere cattivo; ipocrita per essere virtuoso; coabitare per essere sposi; il bagno diverrà solo una norma igienica (non un rito sacro).
Uno stagno remoto sarà solo (per questo) considerato acqua santificante; la bellezza (consisterà) nell’acconciatura dei capelli; lo scopo di ognuno sarà riempirsi il ventre; l’insolenza prenderà il posto della lealtà.
(…) si adempirà alla legge solo in vista d’un’effimera gloria.
Sulla distesa della terra, che pullulerà di gente perversa, chi tra i Brāhmaņa, gli Kşatriya, i Vaiśya o i Śūdra sarà il più forte, quegli diverrà re.
I sudditi di questi sovrani cupidi, spietati, non essendovi altra legge che il brigantaggio, vedendosi privati delle loro donne e dei loro beni, si rifugeranno tra le montagne e nelle foreste,
Nutrendosi d’erbe, di radici, carne, miele, frutta, fiori e grani; per mancanza di piogge, periranno per le carestie, sfiniti dalle tasse, dal freddo, dal vento, dal calore, dagli acquazzoni, dalla neve, (si distruggeranno) gli uni con gli altri».
«12. I corpi degli esseri viventi deperiranno a causa dei crimini del Kaliyuga; gli uomini appartenenti alle caste e agli ordini non conosceranno più il cammino del dovere tracciato dai Veda.
La legge degli eretici prevarrà; i re si comporteranno come briganti; gli uomini si dedicheranno a rubare, a mentire, ad inutili assassini e ad ogni sorta di pratiche (scellerate).
Le caste somiglieranno tutte a quelle degli Śūdra; le vacche saranno simili a capre; le dimore degli eremiti (somiglieranno) alle case; i parenti saranno soltanto degli alleati.
Le piante saranno simili ad atomi; i grandi alberi a piante di legumi (çamis); le nuvole a lampi, le case a deserti.
Proprio allora, quando l’età Kali, così dura per gli uomini, sarà sul punto di finire, Bhagavat, assunta la (forma della) Bontà, scenderà sulla terra per proteggere la legge…»
(Bhāgavata Purāņa 1840-1898: 403-404).
Passi tratti dal libro XII, capitolo III: “Le lodi a Hari, mezzo efficace per cancellare i mali dell’età Kali” (trad. E. Burnouf):
«18. Nella (età) Kŗta, il Dovere (Dharma) cammina su quattro piedi; gli uomini di questa (età) l’onorano. I piedi di questo (toro) possente sono la Verità, la Commiserazione, l’Astinenza, la Liberalità.
Gli uomini sono, in genere, contenti, pieni di compassione, di benevolenza, (coi sensi) pacificati e soggiogati; pazienti, trovano in sé stessi la loro felicità, vedono tutto coi medesimi occhi, vivendo in tal modo nello śrāmaņa.[3]
Nell’età Trēta, la quarta parte dei piedi del Dharma sparisce poco a poco sotto i piedi dell’Ingiustizia, che sono la Menzogna, la Malevolenza, l’Insaziabilità e la Rapina.
Nel corso di questa età, le caste, prima fra tutte quella dei Brāhmaņa, si dedicano alle opere (sacrifici, ecc.) e all’ascetismo (digiuno, ecc.); gli uomini non sono né molto malvagi né molto sensuali; essi sono attaccati al triplice oggetto (dell’attività umana) e invecchiano (nella pratica) del triplice (Veda).
(I quattro piedi) del Dharma: l’Astinenza, la Verità, la Commiserazione, la Liberalità, diventano due soli durante l’età Dvāpara, sotto l’azione della Malevolenza, dell’Insaziabilità, della Menzogna, della (Rapina) frutto del rancore, segni caratteristici dell’Ingiustizia.
(Durante questa età) gli uomini appartenenti alle caste, amano la gloria, le abitudini magnifiche; si compiacciono nello studio dei Veda; sono opulenti e felici padri di famiglia; Kśatriya e Brāhmaņa sono (sempre) in testa.
Durante l’età Kali, la quarta (ed ultima) parte dei piedi del Dharma diminuisce per l’accrescimento dei piedi dell’Ingiustizia; alla fine, scompare (del tutto).
Durante questa (età) gli uomini sono cupidi, senza regole, impietosi, gratuitamente ostili, miserabili, insaziabili; Śūdra e peccatori occupano il vertice delle gerarchie.
La Bontà (sattva), la Passione (rajas), l’Oscurità (tamas): queste sono le qualità che si manifestano tra gli uomini; messe in movimento dal Tempo, esse agiscono nelle loro anime.
Quando l’organo interno, l’intelligenza e i sensi partecipano soprattutto della Bontà, allora si riconosce l’età Kŗta nella quale ci si compiace della scienza e dell’austerità.
Quando gli esseri si votano al dovere, all’interesse, al piacere, allora è l’età Trēta in cui domina la Passione…
Quando regnano la cupidigia, l’insaziabilità, l’orgoglio, l’impostura, l’invidia, fra opere mosse dall’interesse, (allora) è l’età Dvāpara in cui (regnano) Passione e Oscurità.
Quando regnano l’inganno, la menzogna, l’inerzia, il sonno, la malvagità, la costernazione, il cruccio, la confusione, la paura, la tristezza: ecco l’età detta Kali che è (esclusivamente) tenebrosa.
Durante questa età, gli uomini hanno la vista corta, sono poveri di risorse, sono dediti alla gola, libidinosi, indigenti; le donne sono libertine e cattive.
Le campagne sono desolate dai briganti; i Veda corrotti dagli eretici; i popoli, vessati dai loro re; i Brāhmaņa dediti alla lussuria e alla gola.
I giovani Brāhmaņa non osservano più i loro voti; non praticano la purezza; i capi di casa diventano mendicanti (invece di dare essi stessi l’elemosina); gli asceti (lasciano le foreste per) abitare nei villaggi; i (penitenti) che hanno fatto voto di rinuncia assoluta, sono avidi di ricchezze.
Le donne sono di piccola taglia, ingorde, eccessivamente feconde, senza pudore, ciarliere senza cessa e prive di grazia, ladre, scaltre, di grande sfrontatezza.
Il commercio (durante l’età Kali) sarà nelle mani di miserabili mercanti, mentitori di professione; anche fuori dei casi di necessità, si riterrà lecita una professione disprezzata.
I servi abbandoneranno i loro padroni, anche se questi fossero i migliori di tutti; i padroni (abbandoneranno) il servo invecchiato nella loro famiglia, se questi s’ammala, e anche le vacche che non danno più latte.
Abbandonando padri, fratelli, amici e parenti, dediti alla lussuria ed agli (illeciti) affetti, miserabili e debosciati, quelli (che vivranno) nell’età Kali avranno relazioni criminali tra cugini e cugine.
Gli Śūdra, travestiti da asceti, vivranno del loro travestimento, godendo delle offerte; uomini che conoscono soltanto l’ingiustizia, si faranno interpreti della giustizia e occuperanno i posti più alti.
Con l’anima in continuo subbuglio; tormentati dalla carestia e il fisco; spaventati per la continua siccità (gli uomini) s’ammaleranno, in un paese in cui non ci saranno più raccolti di riso…
Senza vesti, senza nutrimento né acqua, senza un giaciglio, estranei al piacere, ai bagni, al lusso, la gente dell’età Kali sarà simile ai piśāca.[4]
Durante l’età Kali, per una piccola moneta (kakiņika), si litigherà con i propri amici e si rinuncerà alla loro amicizia; si sacrificherà la stessa esistenza, per quanto cara, e ci si ucciderà tra parenti.
Non si proteggeranno più i vecchi genitori, né i propri figli, qualunque sia la loro abilità nei diversi generi d’applicazione; nella loro abiezione, gli uomini saranno dediti alla lussuria e all’intemperanza.
Nell’età Kali (…) il supremo Maestro dei mondi, colui che vede i protettori dei tre mondi prosternati dinanzi al loto dei suoi piedi, il beato Aśyuta, sarà quasi sempre privato dell’omaggio della maggior parte degli uomini, la cui intelligenza sarà corrotta dall’eresia.
Egli, il cui nome pronunciato (anche) incoscientemente sul punto della morte, durante le malattie, le cadute, gli urti, libera l’uomo dal legame delle azioni compiute, permettendogli la felicità eterna, non sarà più adorato da nessuno, durante l’età Kali.
Le mancanze commesse dagli uomini durante l’età Kali, riguardanti cose, luoghi o le loro persone, sono cancellate da Bhagavat, il supremo Puruşa, quand’egli prende dimora nei loro cuori.
Basterà ascoltare o celebrare le sue lodi, pensare a lui, offrirgli dei segni d’omaggio o di rispetto, perché il Beato prenda dimora nel loro cuore e cancelli le impurità contratte dagli uomini durante diecimila esistenze».
«51. L’età Kali (…) (nonostante sia) un abisso di vizi, possiede un vantaggio unico, (ma) prezioso: è sufficiente celebrare le lodi di Krishna perché, liberi da ogni legame, ci si riunisca all’Essere supremo.
Ciò che si ottiene durante l’età Kŗta, meditando su Vişņu, nell’età Trēta, offrendo(gli) doni e sacrifici ; nell’età Dvāpara, (votandosi) al suo culto; nell’età Kali, lo si ottiene celebrando le lodi di Hari» (Bhāgavata Purāņa 1840-1898: 409-413).
Gli uomini dediti principalmente al soddisfacimento dei piaceri, schiavi dei loro desideri, sono descritti come esseri demoniaci (āsura). Tale è il tipo d’uomo prevalente durante l’ultima età: «Dediti a una cura affannosa e smisurata che termina solo con la morte, affermano che il bene supremo consiste nel soddisfacimento dei desideri e sono convinti che questo mondo sia l’unica realtà»; «Avvinti dai mille vincoli del desiderio (kāma), dediti al piacere e all’ira, cercano di ottenere fortuna in modo non conforme alla norma, pur di soddisfare i loro desideri» (Bhagavad Gītā 16, 11-12).
Kalki, ultimo avatāra di Vişņu. Nella tradizione indù, avatāra significa “discesa” della divinità in un corpo umano per una sua modalità di manifestazione nel tempo e nello spazio. Comunemente, “avatāra” è tradotto “incarnazione”: «Si tratta dell’incarnazione del dio nel tempo allo scopo di restaurare l’ordine del cosmo e rivelare la sua natura in modo accessibile all’uomo» (Acharuparambil 1955, 163). Krishna spiega così i propri avatāra: «Quando si produce il declino del dharma e l’affermarsi dell’adharma, allora io manifesto me stesso (come avatāra). Per la protezione dei giusti, per la distruzione dei malvagi, e per dare stabile fondamento al dharma io entro nell’esistenza di età in età»
(Bhaghavad Gītā 4, 7-8).
A chiudere il ciclo del Kali-yuga, sarà l’incarnazione di Vişņu come Kalki-avatāra vendicatore del Dharma. Kalki si manifesterà come un guerriero montato su un bianco destriero e stringerà in pugno una spada di fuoco, con la quale punirà tutti coloro che, essendosi opposti a verità e giustizia e avendo collaborato con le forze del male, colpevoli della degradazione dell’uomo e della corruzione del mondo, si sono resi meritevoli della vendetta divina. La venuta di Kalki inaugurerà la nuova età dell’oro della quale Vişņu, dio del cinghiale bianco, sarà signore e sovrano.
Citiamo dal Bhāgavata Purāņa, libro XII, cap. II:
«18. Kalki [Vişņu] apparirà nella casa di un bramino magnanimo (chiamato) Vişņuyaças, capo del villaggio Chambala.
Montando il cavallo Dēvadatta, velocissimo, nemico dei malvagi; dotato delle otto facoltà sovrannaturali e delle qualità,
Percorrerà la terra con la massima rapidità del suo destriero, emettendo uno splendore senza pari e, con la sua spada, ucciderà a milioni di milioni i ladri celati sotto le insegne della sovranità.
Essendo stati messi a morte tutti i briganti, gli abitanti delle città e dei villaggi sentiranno il loro cuore riempirsi di gioia al soffio odoroso della brezza, purificata al massimo grado dalle membra di zafferano di Vāsudēva.
Da loro, nascerà una progenie vigorosa, grazie alla presenza tra di loro del beato Vāsudēva la cui forma è la Bontà». La venuta di Kalki inaugura la nuova età beata:
Quando s’incarnerà il Beato Kalki, il maestro della legge, Hari, sarà l’età Kŗta; gli esseri nasceranno allora essenzialmente buoni.
Quando la Luna, il Sole, Tichya e Brihaspati saranno allineati nel segno di una sola costellazione, verrà l’età Kŗta.[5]
Alla fine della quarta (età, il Kaliyuga), che durerà mille anni divini (senza contare i due crepuscoli di cento anni ciascuno), tornerà (l’età) Kŗta. Allora l’organo interno dell’uomo si schiarirà da solo» (Bhāgavata Purāņa 12, 2; pp. 404-405).
Decadenza umana, fine e rinnovamento del mondo nel Vişņu Purāņa: un altro dei testi contenuti nella raccolta dei Purāņa, il Vişņu Purāņa, raccoglie le predizioni concernenti la conclusione del ciclo e l’inizio del seguente. Il contenuto è simile a quello del Bhāgavata Purāņa, per cui, un riassunto sarà sufficiente: fuoricasta, servi e barbari desoleranno il sacro suolo dell’India; sovrani violenti spoglieranno i loro sudditi; il dharma decadrà ovunque; possesso materiale, salute e ricerca del piacere saranno i moventi dell’umanità nell’ultimo scorcio del ciclo; il rispetto verso i sacerdoti e i maestri spirituali decadrà e ad esso si sostituirà il disprezzo per le norme religiose e per la tradizione; il matrimonio cesserà d’essere un rito e tra i sessi prevarrà la legge del piacere; le donne non rispetteranno più i loro genitori e i mariti, saranno dissolute e si concederanno a dissoluti; l’empietà prevarrà ovunque. Ma, proprio quando ogni norma ed ogni rito staranno per essere abbandonati, Brahmaņ invierà sulla terra un principe di natura divina, il quale ristabilirà la giustizia tra gli uomini. Le loro menti, perdendo l’offuscamento che le ottenebrava, saranno destate a una rinnovata percezione del divino. Da quest’ultima umanità nasceranno coloro che daranno inizio ad una nuova età beata: un nuovo kŗta-yuga (cfr. Vişņu Purāņa 4, 24; 6, 1).
La montagna polare e il Centro di Agartha. La tradizione indiana fa riferimento a un Centro supremo, posto sulla cima della Montagna Polare, o monte Mēru, corrispondente all’asse del mondo. “Centro” e “asse”, ovviamente, vanno intesi in senso spirituale e non geografico. “Agartha” esprime la presenza del lógos universale che presiede e dirige lo svolgimento d’ognuna delle ère dell’umanità. In Agartha risiedono tre personaggi, dotati ognuno di una specifica funzione: Brāhātma, Māhātma e Mahāńga. Il primo è il capo supremo di Agartha, la sua funzione è la conservazione della sapienza e della tradizione primordiale. Il Māhātma svolge una funzione essenzialmente sacerdotale, o “pontificale” mentre la funzione del Mahāńga è nettamente regale, o “imperiale”.
Ognuna delle tre funzioni si esplicita e sussegue durante lo svolgimento del ciclo, sicché nella prima èra dell’umanità, caratterizzata dall’assenza delle caste, dalla giustizia, dalla sapienza e dalla pietas, il mondo è retto dal Brāhātma. Durante il secondo yuga – analogo all’“età dell’argento” – caratterizzato dal predominio della casta sacerdotale, il mondo è retto dal Māhātma, che svolge la funzione di sacerdote supremo. In seguito, quando le altre caste assumono il predominio, a iniziare dalla casta dei guerrieri, al Māhātma succede il Mahāńga esercitando la sua funzione regale di imperator mundi. Ovviamente, la “successione” non implica la scomparsa della precedente funzione, ma il suo passaggio dalla sfera visibile a quella invisibile, dalla storia alla metastoria, dal mondo all’Agartha.
Lokalōka: la grande montagna e il crollo delle barriere che proteggono il mondo.
Nella cosmografia indù, Lokalōka è la grande barriera montuosa, eretta a forma di circolo, che separa e difende il cosmo (loka) dal mondo del caos (alōka) e dalle oscure forze dei demoni, perennemente in agguato. Si tratta di una sorta di barriera analogica che, presso tradizioni diverse da quella indiana, prende il nome di “Grande Muraglia”. In modo analogo, nella tradizione germanica, la Terra di Mezzo (Miđgarđr) è separata e difesa dal Mondo dei Giganti da una barriera protettiva, formata da altissimi monti che, però, le forze del caos simboleggiate dai giganti valicheranno, alla fine dei tempi, per distruggere il mondo.
Per quanto riguarda il simbolismo espresso dalla barriera, René Guénon ha giustamente notato che la Grande Muraglia, o la barriera montuosa di Lokalōka, pur esercitando protezione nei confronti delle potenze esterne ostili al mondo ed all’ordine in esso vigente, non preclude affatto la comunicazione verso l’alto (Guénon 1969: 209). In altre parole, non impedisce alle forze celesti di esercitare le loro influenze, sempre che esista la giusta disposizione a che ciò avvenga.
La diciottesima Sūra del Corano fa riferimento alle genti di Gog e Magog – orde distruttive composte da esseri non-umani,rappresentati a volte come giganti, altre come nani – figurazioni delle potenze del caos. Tali orde, passando attraverso le fenditure prodottesi nella Grande Muraglia, costruita secondo la leggenda da Alessandro Magno, chiuderanno il presente ciclo cosmico, desolando la terra. La tradizione indù, dal canto suo, menziona i due dèmoni Koka e Vikoka i cui nomi sono palesemente identici a quelli di Gog e Magog.[1]
Evidentemente, sia la “Grande Muraglia” che la mitica barriera montuosa, vanno intesi in senso simbolico, in riferimento alla funzione protettrice dell’ordine cosmico assicurata dal corretto adempimento dei riti e dall’osservanza delle leggi. Il rito, infatti, assicura le giuste relazioni col mondo divino, mentre la legge, garantendo l’esistenza dell’ordine, stabilisce la giusta convivenza tra gli uomini. “Lokāloka” deriva da loka che esprime il concetto di “cosmo”, inteso come spazio-tempo ordinato dal rito e dalla legge e dalla negazione di loka (a-loka) che si riferisce all’assenza di norme religiose ed etiche e al disordine prodotto da tale assenza. In tal senso, rifacendoci alle considerazioni di cui sopra (v.), il presupposto perché possa parlarsi di “loka” è costituito dalla presenza attiva di ŗta e dharma, l’ordine fondato sulla norma divina e l’osservanza dei doveri morali e religiosi, senza i quali il cosmo precipita nello stato di non-cosmo, o a-loka.
Per concludere, esponiamo il diagramma che illustra le relazioni tra i cicli e le caste, includendo due momenti del ciclo – uno all’inizio ed uno alla sua conclusione – in cui virgola si ha uno stato indifferenziato, caratterizzato dalla mancanza di caste. Per quanto riguarda questi due momenti, occorre, però, notare che l’indifferenziazione iniziale dello hamsa è tutt’altra cosa della confusione caratterizzante gli ultimi tempi. In entrambi i casi, la non-differenziazione rimanda al simbolismo del caos, sennonché lo hamsa esprime le potenzialità positive del caos, dal quale il demiurgo porterà ad essere la nuova creazione; l’indifferenziazione finale, al contrario, esprime e realizza le valenze negative, le componenti distruttive del caos destinate a far spazio alla realizzazione di un nuovo ordine che avverrà, parafrasando l’immagine paolina, sotto “nuovi cieli” e riguarderà una “nuova terra”. Ecco, dunque, il quadro delle relazioni fra yuga e caste:
kŗta-y. hamsa, stato indifferenziato, assenza di caste
trēta-y. predominio della casta sacerdotale, poi dei guerrieri
dvāpara-y. predominio dei guerrieri, poi dei vaiśya
kali-y. predominio dei vaiśya, poi degli śūdra e, per ultimo dei pañcama, o fuori-casta: stato indifferenziato equivalente a un ritorno al caos
É anche possibile mettere in relazione i quattro yuga con le quattro stagioni dell’anno, intendendo “stagione” in senso metaforico. Si otterranno allora le seguenti corrispondenze: kŗt-y.–primavera; trēta-y.–estate; dvāpara-y.–autunno; kali-y.–inverno.
[1] Un’antica leggenda, diffusa lungo l’intero corso del Medioevo narra che Alessandro Magno avrebbe fatto costruire delle grandi porte di ferro per sbarrare i valichi montani e impedire alle orde delle steppe d’invadere l’Europa. All’avvicinarsi delle orde, prosegue la leggenda, misteriosi squilli di tromba avrebbero rivelato agli invasori la presenza di insonni, soprannaturali sentinelle. Un giorno il suono delle trombe cessò. Un nano, della stirpe dei Mongoli, raggiunto il valico, s’accorse che le porte erano incustodite. A produrre il suono era il vento che passava tra le rocce, ma le fenditure erano state otturate da nidi di gufi. La leggenda si rivelò tragicamente vera in occasione delle invasioni degli Unni. Nella tradizione cinese, ai tempi dell’Imperatore Giallo, Fo-hsi, un gigante produsse uno squarcio nella parte della volta celeste più prossima alla terra, sicché la sorella di Fo-hsi, Niu-kwa, dovette riparare lo strappo ricorrendo a pietre di cinque colori (allegoria dei cinque elementi). Lo “strappo” della tradizione cinese equivale alle “fenditure” della Grande Muraglia nella tradizione islamica
[1] In quanto ad etimo, purāņa significa “antico”
[2] Keśava: uno dei nomi divini di Vişņu-Kŗşņa
[3] śramaņa: lo stato religioso di monaco, o rinunciante
[4] Il termine piśāca si applicava, in genere, ai malvagi e impuri divoratori di carne bovina, ma qui ha un senso più generico; lo stesso termine designava una classe di dèmoni
[5] Anche nella tradizione indù la fine di un ciclo e l’inizio del nuovo coincidono con l’allineamento dei pianeti in uno dei segni dello Zodiaco (v. anche Platone nel Timeo)