La cosiddetta cultura cekista, ereditata dai bolscevichi e sintetizzata nell’emblema dei Servizi segreti dell’Est, – lo scudo e la spada del partito -, era alla base del sistema STASI che per quaranta anni ha imperversato nella Germania Est. Molto si sapeva, dopo la caduta del regime comunista tedesco, ma per la prima volta uno studioso che lavora da anni al Museo della STASI, Gianluca Falanga, ha raccolto in un libro una mole di informazioni corredata da rimandi e indicazioni archivistiche. È la storia del più efficiente, occhiuto e impenetrabile dei Servizi segreti, capace di coinvolgere un’intera popolazione nel sospetto reciproco. Non tutto è venuto alla luce, molto resterà avvolto per sempre nel mistero, ma chi desidera documentarsi, cercare e possibilmente trovare può iniziare da qui.
“… 39 milioni di schede d’archivio, 111 chilometri di documentazione (protocolli, verbali di interrogatori, rapporti di informatori IM e faldoni di procedimenti operativi), 1,4 milioni di fotografie e diapositive (negativi compresi), 2.734 film e videocassette con materiale filmato, 31.300 audiocassette, 7.832 dischetti, nastri e dischi magnetici contenenti le banche dati informatiche della STASI (centrali e sedi distaccate) scampate alla distruzione del 1990, centinaia e centinaia di cartelle vuote (il contenuto è stato distrutto) e circa 16.000 sacchi, scatole e contenitori ricolmi di strisce e frammenti di carta (una parte dei documenti passati per i tritacarte automatici)”.
Sono il compendio del Ministerium fur Staatssicherheit, meglio conosciuto come STASI, il Servizio segreto della Repubblica Democratica Tedesca, caduta nel 1990, compendiati da Gianluca Falanga nel libro, Il Ministero della paranoia – Storia della STASI (320 pagine, Carocci editore, Le Sfere, Roma).
Un libro indispensabile per capire cosa fosse, come nacque, come operava, i dipartimenti, in cui era organizzato, lo sterminato esercito degli IM, gli informelle Mittarbeiter (informatori non ufficiali), gli alti livelli tecnologici raggiunti nel settore dello spionaggio per immagini ed elettronico, le nasse Sachen, (faccende umide), cioè gli omicidi e i rapimenti, e ancora le infiltrazioni nelle strutture politiche e militari dell’Europa Occidentale, i rapporti con il terrorismo internazionale.
Falanga lavora al Museo della STASI, nell’ex penitenziario di Hohenschonhausen, e si trova quotidianamente a contatto con documenti che sembrano appena scritti da funzionari, delatori, informatori. Emerge un’arma perfetta, per quattro decenni al servizio del regime comunista più chiuso e occhiuto dell’Europa Orientale, del quale fu l’avanguardia, il garante e la spina dorsale.
Il tutto nel quadro di un clima di terrore e di diffidenza reciproca, di violazione permanente della privacy, di controlli sulle conversazioni telefoniche, sulla posta, sui rapporti privati e familiari, descritto nel 2006 dal film “Le vite degli altri”, debutto del regista e sceneggiatore Florian Henckel von Donnersmarck, sperimentato nella realtà da persone come Vera Langsfeld. Dai documenti trovati nella sede della STASI in Normannenstrasse, la Langsfeld è venuta a sapere che a spiarla era il marito, uno delle migliaia di informelle Mitarbeiter, che procurarono alla polizia segreta una quantità impressionante di informazioni sulla vita privata di un grandissimo numero di cittadini in tutti i settori della vita civile, dall’economia alla cultura, senza tralasciare la camera da letto.
Un modo di operare, scrive Falanga, figlio della cultura cekista, cioè della Ceka, la polizia politica bolscevica, creata da Feliks Dzeržinski, della quale Erich Mielke, il capo della STASI fino al 1990, era un ammiratore. Gli ufficiali, funzionari e agenti regolari della STASI, come tutti i loro colleghi dei servizi di sicurezza degli Stati del Patto di Varsavia, si consideravano idealmente guardiani della “rivoluzione” e garanti del “potere proletario” e usavano chiamarsi, ancora fino al 1989, con una certa vanità, “cekisti”. Anche la simbologia è di identica derivazione e la STASI si definisce Schild und Schwert der Partei, cioè “scudo e spada del partito”, emblema adottato dalla Ceka e trasmesso al KGB sovietico.
Dall’azienda Origlia & Spia, l’insieme dell’organizzazione complessa della STASI, con le linee operative, gli appartamenti segreti, le prigioni, le diramazioni provinciali i veri e propri lager, alla decomposizione delle anime, attraverso la psicologia operativa, insegnata nell’accademia segreta riservata ai quadri e indicata con l’acronimo JHS, Juristische Hochschule del MfS, Scuola Superiore di Giurisprudenza del Ministero per la Sicurezza dello Stato.
“Particolare attenzione – scrive Falanga – viene dedicata a sentimenti e passioni come la fiducia, il legame sentimentale, i bisogni individuali e le dinamiche di gruppo”. E lo scopo è scoprire cosa fare per distruggerli, senza che le vittime abbiano la consapevolezza di essere manipolate da perfidi burattinai.
È del 1981 la teorizzazione più concisa e completa dell’intera attività della STASI, sintetizzata dallo stesso Mielke in una semplice domanda: wer ist wer? vale a dire “chi è chi”?, cioè chi è nemico e chi è amico, chi è esposto e aperto agli influssi ideologici del nemico e chi è affidabile e solidalmente dalla parte del partito e dello Stato, chi è titubante e incerto e chi è privo di dubbi e ciecamente ubbidiente. Il tutto si traduce in licenza di violare sistematicamente e in tutti i modi possibili la sfera privata dei propri concittadini.
Scorrendo le pagine del “Ministero della paranoia” si scopre il linguaggio burocratico e poco scorrevole, infarcito di tecnicismi e termini specialistici, fraseologia barocca e formalismi retorici che sembrano fatti apposta per rendere difficile la comprensione. Si delineano le categorie di spie per le quali vale sempre la sigla IM, inoffizielle Mitarbeiter, ma con accanto una lettera che ne designa il settore operativo Alcuni esempi: A per estero, B per a contatto con il nemico, E per esperto, K per cospirazione, S per sicurezza, F, per capacità di dirigere.
Stalinista di vecchia scuola, chiuso e incolto, Mielke, il direttore della STASI, riesce nell’incredibile operazione di creare e far vivere uno stato di polizia nel quale non c’è pietà e non esita perfino a riesumare vecchie ghigliottine d’epoca nazista per giustiziare i “traditori”, come la coppia Elli Barczatis e l’amante Karl Laurenz. Segretaria del Presidente del Consiglio Otto Grotewohl, lei, giornalista, lui, con la gravissima colpa di essere in contatto con un agente del servizio segreto di Bonn. Scoperti, arrestati e torturati, entrambi sono ghigliottinati il 23 novembre 1955 nel carcere di Dresda e immediatamente cremati. L’ultima esecuzione avvenne il 26 giugno 1981 a Lipsia, nel carcere di Alfred-Kastner Strasse: Werner Teske ufficiale tedesco, in servizio presso la STASI, condannato per alto tradimento, fu giustiziato con un colpo di pistola alla nuca.
Il sistema STASI funzionava così bene che l’organizzazione spionistica della Repubblica Democratica Tedesca non fu mai infiltrata dai servizi occidentali che al contrario infiltrò e manipolò in più di un’occasione, al punto da collocare un suo agente, Gunter Guillaume, addirittura all’interno della Cancelleria, a fianco di Willy Brandt.
Artefice delle operazioni più brillanti e spregiudicate un personaggio del tutto diverso da Mielke, Markus Johannes Wolf, che Falanga definisce “uno degli uomini migliori del regime per intelligenza, fiuto politico, determinazione e lungimiranza operativa”, messo a soli 30 anni a capo del XV Dipartimento, poi ribattezzato Direttorato esteri, con ampia autonomia operativa rispetto al comando centrale, con il titolo di Primo Viceministro e sostanzialmente vicecapo della STASI.
Mischa è un nome da leggenda in Occidente, al punto che John Le Carré ne fa il protagonista delle sue celeberrime spy stories, a cominciare da La Talpa. Un uomo destinato a rimanere senza volto fino al 1979, con la defezione del colonnello Werner Stiller, fuggito all’Ovest con i microfilm di 20.000 documenti riservati e i nomi di spie e informatori della DDR attivi in Germania Ovest e in Austria: professori universitari, ingegneri, fisici, informatici ed esperti nucleari.
L’imponenza dell’infiltrazione lascia sconcertati i servizi segreti occidentali, ma il colpo inferto alla STASI grazie a Stiller è durissimo e sul capo del traditore venne posta da Mielke una taglia da un milione di marchi. La ferita si fa ancora più sanguinosa, quando il settimanale Der Spiegel, nel numero di marzo del 1979 rivela: “Scoperto il capo dei servizi segreti della DDR: le spie di Markus Wolf”, corredato dalla foto di Mischa a passeggio per le vie di Stoccolma.
Entrato in Svezia con nome falso e passaporto diplomatico, otto mesi prima Wolf aveva attirato l’attenzione dei servizi svedesi che lo avevano fotografato insieme con una elegante signora mentre entrava nell’ambasciata di Berlino Est, senza tuttavia identificarlo. Né del resto lo avevano identificato gli altri servizi segreti occidentali, fino a quando la foto non viene mostrata a Stiller che, senza esitazione, non solo afferma di conoscere l’uomo fotografato, ma aggiunge: “È Mischa e la signora che è con lui è la sua seconda moglie, Christa”.
L’uomo al quale si attribuiscono settanta identità ha finalmente un volto.
Infinite le operazioni di penetrazione condotte nei confronti di Bonn e della Nato che conducono Falanga a scrivere: “Emerge con chiarezza la straordinaria efficienza dello spionaggio tedesco-orientale. Il segreto del successo è un insieme di ragioni e fattori, scelte strategiche azzeccate e circostanze vantaggiose sapientemente sfruttate. Comun denominatore, il fiuto e le intuizioni di Markus Wolf, a cominciare dall’impostazione dell’attività di spionaggio: la concentrazione operativa dell’HVA sulla Germania Ovest”.
Sarebbe troppo lungo soffermarci qui su operazioni sia pure rilevanti della STASI, raccontate da Falanga attingendo a documenti di prima mano, per i quali rinviamo direttamente alla lettura del libro, a nostro avviso piacevole e soprattutto istruttiva, sia per il profano sia per gli addetti ai lavori. Ci limiteremo a sottolineare come la STASI operò nei confronti del terrorismo internazionale applicando, ma con cautela, i principi della “solidarietà anti-imperialista”. La DDR diventa così paese di transito e di ritiro per terroristi arabi di varie organizzazioni palestinesi (da George Habbash ad Abu Nidal a Carlos) e tedesco-occidentali (RAF, Movimento 2 Giugno, Cellule rivoluzionarie).
Il compito di monitorare il terrorismo, nel timore che possa “inquinare” la Repubblica Democratica, Erich Mielke lo affida alla Linea XXII che fra i primi doveri ha quello di identificare tutti i terroristi attivi, i loro retroterra di simpatizzanti e sostenitori, ma soprattutto chi sta loro dietro, li protegge ed eventualmente manovra. La Linea XXII opera nella massima segretezza e gli unici a conoscerne l’attività sono lo stesso Mielke e il suo vice Gerhard Neiber.
All’attenzione della STASI non sfuggono le Brigate Rosse italiane. Fra i documenti si trovano due schede, citate e inserite nel libro, relative a Mario Moretti e a Lauro Azzolini. Sul retro di quella di Azzolini, rivela Falanga, è scritto: “s. Moro Akte” (cfr. Atti Moro) ma la cartella con la segnatura OA/LA13 non è reperibile (probabilmente distrutta)’.
Secondo Falanga, allo stato “non è possibile affermare, restando alla documentazione d’archivio disponibile, che la STASI abbia mai controllato, infiltrato o pilotato la Raf e tantomeno le Brigate Rosse. Affermazioni del genere sono allo stato dei fatti del tutto prive di fondamento e, seppur suggestive, poco più che fantasie”.
Quando l’arrivo del Papa polacco provoca il terremoto oltrecortina, Mosca chiede alla STASI di intensificare l’azione verso il Vaticano. Giovanni Paolo II, simbolo dell’opposizione anticomunista in Polonia, il 13 maggio 1981 subisce un gravissimo attentato. È convinzione generale che ad armare la mano di Memet Alì Agca sono stati i servizi segreti dell’Est, bulgari e tedeschi, su ordine del Cremlino. Nel 2005 gli archivi di Berlino Est sembrano confermare che il ruolo della STASI sarebbe stato proprio quello di coordinare per conto del KGB i preparativi dell’attentato organizzato da agenti bulgari e di cancellare quindi ogni traccia che riconducesse alla verità. Scrive Falanga: “La STASI avrebbe dovuto assolvere a questa funzione grazie alla disponibilità di informatori nella gerarchia vaticana, forse addirittura nell’entourage di Giovanni Paolo II. La mancanza di altre prove non permette di accertare questa tesi e questa responsabilità, peraltro smentite dalle ultime versioni fornite dallo stesso attentatore Agca”.
Fatto è che gli agenti tedeschi hanno garantito per anni un flusso diretto di informazioni dalla Santa Sede. Due nomi per tutte le spie in Vaticano: Alfons W., autore di oltre 100 informative per Berlino Est, ed Eugen B. che ha procurato regolarmente documenti riservati della Santa sede.
Molto rimane ancora da scoprire degli archivi della STASI, soprattutto dalla ricostruzione dei documenti ridotti a striscioline dai tritacarte, ma non distrutti. Su molto altro è destinato a scendere l’oblio.
Secondo Falanga, “tanti teoremi sono destinati molto probabilmente a restare per sempre tali”. Anche perché protagonisti come Mielke e Markus Wolf nel frattempo sono scomparsi. Altri, ancora in vita, non hanno interesse alla verità, ma al silenzio.
https://www.sicurezzanazionale.gov.it/sisr.nsf/gnosis/un-popolo-di-spie-e-di-spiati.html