La Storia degli Eunuchi: Evirati per essere Controllabili
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Potevano essere schiavi, sacerdoti o funzionari di corte. Qualcuno li usava come valvole di sfogo sessuali, in altri tempi venivano trasformati in cantanti dell’Opera. La storia delle persone che furono castrate è lunga, e sempre dolorosa. È lunga perché l’asportazione dei testicoli ha avuto inizio millenni fa. È dolorosa perché bambini, adolescenti e adulti dovevano convivere con una menomazione irreversibile.
Un gruppo di eunuchi. Murale dalla tomba del principe Zhanghuai, 706 d.C. – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia
L’imperatore Yongle mentre guarda gli eunuchi di palazzo che giocano a palla – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia
Trattato sugli eunuchi, 1707 – Immagine condivisa con licenza CC DI 4.0 via Wikipedia
A seconda dei casi si procedeva anche all’evirazione (la rimozione del pene) e non tutti utilizzavano una qualche forma di anestesia. Soprattutto in età antica, ci si limitava a un taglio netto di coltello. Il tasso di mortalità era alto e due pazienti su tre morivano per l’insorgere di infezioni ed emorragie. Ma come ha avuto origine questa pratica? E perché è sopravvissuta fino agli inizi del Novecento?
Eunuchi della corte ottomana – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia
Gli Eunuchi in Cina
La prima comparsa documentata della castrazione è datata fra il 1450 e il 1250 a.C. In caso di rapporti omosessuali, la legge degli Assiri prevedeva l’asportazione dei testicoli, ma fu solo nell’antica Cina che l’evirazione si trasformò in un fenomeno di dimensioni considerevoli. Ai tempi della dinastia Qin, al potere dal 221 al 206 a.C., i responsabili di alcuni reati, primo fra tutti l’adulterio, subivano una delle Cinque punizioni. La quarta, il cosiddetto Gōng, colpiva sia il condannato sia i suoi parenti più prossimi, come figli e nipoti. La tradizione voleva che la progenie di un criminale si interrompesse per sempre e quindi si procedeva all’evirazione e alla riduzione in schiavitù. Ciascun eunuco doveva custodire i propri testicoli in un sacchetto, per poi farsi seppellire con esso. Senza, sarebbe rimasto incompleto anche dopo la morte e non avrebbe potuto reincarnarsi.
I territori della dinastia Qin – Immagine di SY condivisa con licenza CC BY-SA 4.0 via Wikipedia
Col passare del tempo gli eunuchi si guadagnarono la fiducia degli imperatori e ottennero diverse cariche politiche e amministrative. Si pensava che l’impossibilità di generare figli li rendesse innocui e malleabili; servi fidati che non avrebbero mai ordito dei complotti per appropriarsi di cariche per sé e i propri figli.
Li Lianying (1848–1911), famoso eunuco imperiale della dinastia Qing – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia
A partire dal 907 d.C., con l’avvento della dinastia Liao, divennero anche i guardiani delle donne degli harem, un’occupazione che nell’Impero Ottomano farà scuola, ma di questo parleremo fra poco.
L’imperatrice Longyu con cinque eunuchi – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia
L’imperatore Jianwen – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia
La castrazione familiare si diffuse su vasta scala. I padri di famiglia facevano evirare i figli per mandarli a Pechino in cerca di fortuna, o erano gli stessi giovani che decidevano di sottoporsi all’operazione. Con l’imperatore Yongle, a cavallo fra ‘300 e ‘400, si arrivò a ben 100.000 eunuchi nella sola Città Proibita.
L’imperatore Yongle – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia
L’imperatrice vedova Cixi portata dagli eunuchi di palazzo – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia
Sun Yaoting – Immagine condivisa con licenza Fair use via Wikipedia
Gli eunuchi nell’Impero Ottomano
La castrazione era diffusa in molti altri paesi, non solo in estremo oriente, e nel mondo musulmano trovò spazio solo qualche secolo dopo rispetto a quello cinese a causa di un divieto di Maometto. Quando si scoprì l’utilità degli eunuchi, i precetti del profeta passarono in secondo piano e iniziò una tratta di schiavi che andava da Samarcanda a Baghdad, passando per il Cairo e Bisanzio. Nella residenza dei sultani, il Palazzo di Topkapı a Istanbul, si svilupparono due classi di eunuchi: i neri, importati dall’Africa, e i bianchi, di origini caucasiche o baltiche.
Il Kızlar Ağası in carica nel 1912 – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia
Un eunuco del sultano ottomano. Fotografia di Pascal Sebah, 1870 – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia
Il Kızlar Ağası (a sinistra), il nano di corte (al centro) e il Kapı Ağası (a destra) in un’illustrazione del XIX secolo – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia
Gli eunuchi nell’Antica Roma
In Occidente, gli eunuchi fecero la loro comparsa con l’avvento del culto di Cibele, una divinità greco-romana modellata sulla regina Kubaba, la dea della fecondità degli ittiti. Il rito di iniziazione di Cibele prevedeva che i sacerdoti si recidessero pene e testicoli.
Bassorilievo raffigurante la dea Kubaba – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia
All’infuori dei riti religiosi la castrazione era una pratica vietata dalla Lex Cornelia Sullae de sicariis et veneficis dell’81 a.C., ma, come i cinesi prima di loro, anche i romani scoprirono l’utilità degli eunuchi e iniziarono a importarli dai territori conquistati.
Statua in marmo di Cibele del I secolo a.C. – Immagine di ChrisO condivisa con licenza CC BY-SA 3.0 via Wikipedia
Esisteva la castrazione bianca, che prevedeva la sola asportazione dei testicoli e generava i cosiddetti spadones, e quella nera, che aggiungeva l’evirazione. Dopo la conquista della Grecia e la progressiva assimilazione della cultura ellenica, gli eunuchi divennero anche degli oggetti sessuali in carne e ossa. Le matrone apprezzavano i rapporti con gli spadones (che, ricordiamolo, se castrati dopo la pubertà potevano comunque avere un’erezione), perché la loro sterilità le tutelava dalle gravidanze indesiderate. Quanto agli uomini, l’omosessualità era una pratica diffusa (ne abbiamo parlato in un articolo dedicato: “La Sessualità nell’Antica Roma“), e gli eunuchi erano delle perfette valvole di sfogo.
Pinze per castrazione scoperte nel Tamigi e utilizzate come parte del culto di Cibele per tagliare i genitali – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia
Un caso emblematico fu quello di Sporo. Nel 66 d.C., la moglie di Nerone Poppea Sabina morì, e l’imperatore ordinò di trovare qualcuno che le assomigliasse. Quel qualcuno era un giovane liberto di nome Sporo. Nerone lo fece castrare, lo trasformò in una donna e lo sposò.
Busto di Nerone – Immagine di cjh1452000 condivisa con licenza CC BY-SA 3.0 via Wikipedia
Eutropio († 399), primo e unico eunuco a raggiungere il consolato . KHM Vienna. Fotografia via Wikipedia licenza CC DI 3.0
I Cantanti Castrati
Con il passare dei secoli la castrazione riscosse un certo successo anche in ambito musicale. Le donne non potevano cantare in chiesa e gli eunuchi, che mantenevano un timbro vocale infantile, iniziarono a esibirsi durante le funzioni religiose. La loro prima comparsa risale al 400 d.C.; l’ultima nel 1204. Riapparvero in Italia solo intorno al XV secolo e, con la crescente popolarità dell’Opera da un lato e i teatri della chiesa che erano ancora interdetti alle donne dall’altro, divennero dei beniamini del pubblico. All’apice della loro popolarità, nel XVIII secolo, si ipotizza ci fossero circa 4000 nuovi castrati all’anno. In teoria il Vaticano vietava quel tipo di operazione ma in pratica si chiudeva un occhio, perché la richiesta e la popolarità dei cantanti dalla voce bianca era in continuo aumento.
Un castrato bizantino dell’XI secolo – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia
La maggior parte erano orfanelli o bambini poveri, e la castrazione non era quasi mai una scelta volontaria. Una delle poche eccezioni fu Carlo Maria Michelangelo Nicola Broschi, in arte Farinelli, che per anni dominò la scena teatrale europea e, a differenza di molti suoi colleghi, proveniva da una famiglia agiata.
Jacopo Amigoni, Ritratto di Farinelli – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia
Ovviamente non serviva solo l’asportazione dei testicoli, e dopo l’operazione erano necessari anni e anni di studio in Conservatorio. Chi non riusciva a sfondare finiva a cantare nelle chiese o si dedicava all’insegnamento, ma chi approdava in teatro diventava un artista di grande successo, con tutti gli annessi e connessi.
Giovanni Battista Velluti, l’ultimo dei grandi castrati dell’opera italiana – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia
Al tramonto dell’Ottocento i gusti del pubblico cambiarono. L’Opera perse il suo appeal e, senza la prospettiva di grandi guadagni, le famiglie smisero di far castrare i propri figli. Papa Leone XIII proibì l’ingaggio di nuovi eunuchi nel 1878 e diminuì le esibizioni di quelli ancora in servizio in Vaticano. L’ultimo cantante castrato del coro della Cappella Sistina fu Alessandro Moreschi. Nel 1902 la Gramophone & Typewriter Company di Londra registrò una sua performance, e ciò lo rende l’unico artista della sua categoria la cui voce è giunta alle orecchie di noi contemporanei.
Alessandro Moreschi – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia